L’impresa di Entebbe

Trentanni fa Israele realizzava con successo una delle più eroiche missioni antiterrorismo della storia

image_1286Il 27 giugno 1976 un gruppo misto di terroristi palestinesi e tedeschi si impadronì di un Airbus Air France in volo da Tel Aviv a Parigi via Atene con 250 persone a bordo, e lo dirottò sull’aeroporto di Entebbe, in Uganda. Il ricatto subito posto dai terroristi fu la richiesta che Israele rimettesse in libertà 53 terroristi detenuti in Israele e altri paesi.
Il dittatore ugandese Idi Amin giunse all’aeroporto e tenne un discorso a sostegno dei terroristi, ai quali ordinò di fornire aiuti e rinforzi.
Nelle ore successive i dirottatori rilasciarono l’equipaggio francese (alcuni dei quali tuttavia decisero di restare) e i passeggerei non ebrei, trattenendo invece in ostaggio 105 passeggeri ebrei (israeliani e non israeliani). Tra loro, anche alcuni sopravvissuti ai campi di sterminio. L’ultimatum imposto fu di 48 ore, scadute le quali avrebbero iniziato a uccidere gli ostaggi uno per uno.
Messo di fronte a una situazione che sembrava lasciare ben poche possibilità di scelta, il governo israeliano annunciò che avrebbe avviato negoziati. Ciò permise di guadagnare tempo prezioso, necessario per preparare un intervento militare che sembrava ancora impossibile. Intanto, un nuovo ultimatum veniva fissato per le ore 13.00 di sabato 4 luglio.
Il primo luglio il comandante incaricato di dirigere tutta l’operazione, il generale Dan Shomron (che successivamente sarebbe diventato capo di stato maggiore) presentò il suo piano ai comandi, al ministro della difesa Shimon Peres e al primo ministro Yitzchak Rabin, i quali il giorno seguente assistettero a una simulazione generale. La valutazione fu che fosse possibile tentare ciò che sembrava incredibile.
Il piano di Shomron faceva affidamento su alcuni punti di vantaggio che gli israeliani potevano sfruttare rispetto ai terroristi, che tuttavia godevano della complicità del regime ugandese e dei suoi militari. Innanzitutto l’aeroporto di Entebbe dove erano trattenuti gli ostaggi era stato costruito da una ditta israeliana (all’epoca dell’intensa cooperazione fra Israele e paesi del terzo mondo, che aveva preceduto il ricatto petrolifero arabo) e la ditta fu in rado di fornire a Shomron i progetti dettagliati. Inoltre, alcuni ostaggi non ebrei rilasciati furono in grado di descrivere i terroristi, le loro armi e le loro posizioni.
Le Forze di Difesa israeliane decisero di impiegare nel raid una forza soverchiante, composta da duecento fra i migliori soldati d’Israele, tutti pesantemente armati.
Infine, il vantaggio probabilmente decisivo sarebbe stato l’elemento sorpresa. Spiegò successivamente Shomron: “C’erano più di cento persone sedute in una piccola sala, circondate da terroristi col dito sul grilletto. Avrebbero potuto sparare in una frazione di secondo. Noi dovevamo volare per sette ore, atterrare incolumi, raggiungere con i mezzi di terra il terminal dove erano trattenuti gli ostaggi, entrare ed eliminare tutti i terroristi prima che essi potessero aprire il fuoco”. Il fatto che nessuno si aspettasse neppure lontanamente che gli israeliani si assumessero un tale rischio era esattamente la ragione per cui essi decisero che potevano assumerselo.
La flottiglia decollò alle 13.20 del 3 luglio, facendo rotta verso sud. Solo a quel punto il piano venne reso noto al resto del governo, che decise di portare avanti l’operazione. L’Hercules C-130 di testa aveva a bordo la squadra di salvataggio, guidata da Yonatan Netanyahu (fratello del futuro primo ministro Benjamin Netanyahu). Trasportava inoltre due jeep e una Mercedes nera, copia perfetta dell’auto personale del dittatore ugandese Idi Amin: un elemento che si sarebbe rivelato fondamentale per sfruttare fino in fondo l’effetto sorpresa. Altri due Hercules portavano rinforzi e truppe con compiti particolari, come quello di distruggere a terra gli undici Mig di fabbricazione sovietica di stanza nell’aeroporto. Un quarto Hercules avrebbe dovuto prendere a bordo gli ostaggi liberati. Completavano la flotta due Boeing 707: uno avrebbe fatto da centrale di comando avanzato; l’altro, attrezzato come un ospedale aviotrasportato, sarebbe atterrato nella non distante Nairobi, in Kenya. Gli Hercules vennero scortati da Phantom F-4 il più a lungo possibile, cioè per circa un terzo del percorso.
Evitati dei temporali sul Lago Vittoria, quando gli Hercules si avvicinarono alla fine del loro viaggio di 7 ore e 40 minuti si trovarono di fronte a una sorpresa: le luci della pista erano accese. Nonostante questo, riuscirono ad atterrare senza farsi scoprire alle 23.01 (ora locale), con solo un minuto di ritardo sulla tabella di marcia.
Con un attacco lampo che prese completamente alla sprovvista terroristi e complici ugandesi, i soldati israeliani riuscirono a liberare gli ostaggi uccidendo nella battaglia tutti gli otto terroristi. Caddero anche dei soldati ugandesi, che avevano l’ordine di difendere i terroristi.
Tragicamente, l’unico militare israeliano caduto nello scontro fu proprio il comandante del commando, Yoni Netanyahu, ucciso mentre guidava gli ostaggi verso la salvezza a bordo dell’aereo. Nel fuoco incrociato all’interno del terminal perirono anche tre ostaggi: Ida Borochovitch (56 anni), Pasco Cohen, 52 anni, sopravvissuto alla Shoà, e Jean-Jacques Maimoni (19 anni). La 75enne Dora Bloch, una vedova di Tel Aviv con cittadinanza israeliana e britannica che era stata trasferita nell’ospedale Mulago di Kampala prima dell’intervento israeliano, non poté essere tratta in salvo e venne successivamente uccisa a sangue freddo, per vendetta, da due ufficiali ugandesi su ordine di Idi Amin.
Le altre squadre portarono a termine i loro compiti praticamente nello stesso tempo impiegato durante la simulazione generale.
Alle 23.59 gli aerei erano in volo verso casa. L’operazione nell’aeroporto, che era previsto durasse un’ora, durò esattamente 58 minuti.
L’impresa di Entebbe inferse un duro colpo al terrorismo internazionale. “Echeggiò in lungo e in largo – commentò Shomron – e dimostrò che ci si può opporre al terrorismo e che vale la pena collaborare a questo scopo”.
“Questa operazione – disse Rabin – resterà sicuramente inscritta negli annali della storia militare, nella tradizione della nazione e nella leggenda”.
Nel giorno stesso in cui gli Stati Uniti celebravano il bicentenario della loro indipendenza, il piccolo Israele ricordava al mondo intero che la libertà è un valore per il quale ogni generazione deve essere pronta a battersi.

(Da: Jewish Virtual Library, israele.net)

Nella foto in alto: l’arrivo degli ostaggi salvati e, nel riquadro, Yonatan Netanyahu, il capo delle unità speciali caduto nella missione