Lo shofar aborigeno

La giovane Noa Zulu ha partecipato al quarto Festival annuale di Didgeridoo, che ha avuto luogo al Kibbutz Horshim

image_1846Se fosse per Noa Zulu, tireremmo tutti un bel respiro. Non è che questa musicista poco più che ventenne abbia trovato la ricetta magica per risolvere i problemi politici: si tratta solo di respirazione.
Zulu è membro della troupe Tribal Dance di suonatori di didgeridoo, una delle principali attrazioni del quarto Festival annuale di Didgeridoo, che ha avuto luogo al Kibbutz Horshim vicino a Kfar Sava. Per Zulu, suonare il didgeridoo (strumento a fiato aborigeno a forma di lungo cilindro irregolare di legno, lungo 1-2 metri) è molto di più di una forma di divertimento. “C’è qualcosa di molto spirituale e commovente nel suonare e ascoltare il didgeridoo – spiega – Quando l’ho sentito per la prima volta sono rimasta molto colpita. E’ stata un’esperienza emozionante”.
A quell’epoca Zulu si divertiva ad andare a feste musicali all’aperto e apprezzava l’energia e l’ambiente creato dalla gente che si perdeva nella musica. Ma mancava qualcosa. Qualcosa che ha trovato quando ha assistito per la prima volta a uno spettacolo di didgeridoo.
“Avevo 19 anni e da parecchio tempo suonavo, oltre ad ascoltare musica e danzare. Il suono del didgeridoo a quello spettacolo è stato come una cosa antichissima, che però aveva anche le vibrazioni di musica prodotta da un computer del XXI secolo. Quello che mi ha affascinata è stato il modo in cui il musicista era totalmente perduto in quello che faceva”.
E così Zulu ha voltato le spalle a parecchi anni di studio classico di pianoforte e tromba, seguiti da un po’ di jazz, rock e reggae, e ha cominciato a imparare il didgeridoo. Forse, se non fosse stato per lo strumento aborigeno, Zulu avrebbe smesso completamente di suonare. “Ho fatto il servizio militare in un’orchestra dell’esercito e ho passato momenti terribili – ricorda – Il didgeridoo mi ha riportata all’essenza stessa della musica, alla sua avventura spirituale”.
La sua decisione fu ulteriormente confermata durante un viaggio in Africa. “Nello Zimbabwe ho visto, alle cerimonie tribali, il vero potere della musica”. Zulu ha anche compreso l’universalità di quella forma d’arte. “Ero là, nella capitale dello Zimbabwe, a godermi lo spettacolo musicale più potente ed intenso di tutta la mia vita. Ho realizzato allora che questa musica è in grado di trascendere tutti i mondi e raggiungere gente di tutte le culture… Credo che noi tutti portiamo in noi stessi qualcosa di tribale. Tutte le culture antiche hanno il senso dello struggimento umano, e un forte legame con l’intensità della musica, compresa la cultura ebraica”.
Oggi, oltre ad esibirsi in concerto, Zulu usa le sue capacità per aiutare persone con necessità particolari. “Lavoro con uno speciale gruppo teatrale di sordi-ciechi e anche con bambini autistici e ritardati. Le vibrazioni del didgeridoo forniscono un punto d’incontro e un mezzo di comunicazione quando le parole non sono più efficaci”.

(Da: Jerusalem Post, 16.09.07)