Lo show di Salam Fayyad

Il PM palestinese vuole davvero uno Stato? Dalle sue politiche, sembrerebbe di no.

Di Avi Trengo

image_2815Il primo ministro dell’Autorità Palestinese Salam Fayyad va ripetendo che sta lavorando per arrivare nell’agosto 20011 a dichiarare l’indipendenza su “tutti i territori occupati”. Dice che, sebbene sia disposto a impegnarsi in negoziati con Israele, non vede tali negoziati come un requisito necessario per la creazione di una “Palestina indipendente”. I palestinesi chiedono l’applicazione delle leggi internazionali sull’autodeterminazione, dice, aggiungendo che Israele non è l’unico attore nella partita. Fayyad ha anche minacciato di agire unilateralmente: “Non abbandoniamo il negoziato come metodo per arrivare alla creazione di uno stato – ha dichiarato – Ma nel caso questo non funzionasse, siamo pronti per una seconda opzione: trasformare direttamente il nostro sogno in realtà”.
Fayyad non è un leader militare. In questo periodo si sta costruendo un’immagine di leader politico, e non c’è modo migliore per giudicare la sua opera che esaminare le sue azioni sul fronte economico: un esame che rivela l’enorme gap che esiste fra le sue parole e le sue intenzioni.
Se la sua intenzione fosse davvero quella di diventare il Ben-Gurion palestinese, Fayyad agirebbe nel senso di favorire l’indipendenza economica e la costruzione di un’infrastruttura per il suo stato in fieri. Invece devolve gli enormi fondi che riceve dal resto del mondo al pagamento di stipendi nell’evidente tentativo di rafforzare il consenso attorno a se stesso. Fayyad certamente non ha dimenticato che il partito da lui creato alcuni anni fa riuscì a guadagnarsi meno del 2% dei voti nelle elezioni palestinesi. Come per ogni politico, questo è ciò che veramente gli interessa: crearsi una base di sostegno personale.
Di recente Fayyad ha iniziato a ricompensare non solo 150.000 dipendenti dell’Autorità Palestinese e delle sue forze di sicurezza. Ha anche creato un fondo (apparentemente destinato a scopi di sviluppo) che distribuisce direttamente i fondi degli stati donatori per pagare gli stipendi in più di 500 municipalità e consigli locali istituiti dall’Autorità Palestinese: che, negli ultimi sedici, si sono moltiplicati per sei.
Il primo ministro palestinese si vanta di essere un riformatore economico, ma in pratica la crescita che si è vista sotto la sua leadership trae origine dagli accresciuti aiuti internazionali, che sono andati aumentando in seguito alla sua promessa, mai mantenuta, di ridurre al minimo la burocrazia del governo palestinese.
Non basta. Fayyad ha potuto beneficiare di un ulteriore, inconsueto contributo: il boom di acquisti fatti dagli arabi israeliani, con l’approvazione del governo, nelle città palestinesi. Questi acquisti hanno incrementato l’economia palestinese in Giudea e Samaria (Cisgiordania) di più del 10%, aumentando in questo modo di centinaia di milioni di shekel il gettito totale nelle casse dell’Autorità Palestinese dell’imposta sul valore aggiunto. Non solo il governo israeliano ha rinunciato a chiedere il rimborso di queste somme IVA, stimate in circa un miliardo di shekel all’anno (approssimativamente 280 milioni di dollari), che spettano a Israele per legge e in base agli accordi con l’Autorità Palestinese. Secondo un documento recentemente distribuito dal ministero degli esteri di Gerusalemme, Israele ha anche esonerato di fatto i commercianti palestinesi dall’emettere fattura. Così Israele sta facendo all’Autorità Palestinese (in modo totalmente volontario e in contrasto con la legge, stando al documento del ministero degli esteri) un regalo che ammonta ad altre centinaia di milioni di shekel all’anno.
Fayyad vuole che gli si dia più territorio, apparentemente quello necessario per l’ “indipendenza”. Ma vuole anche che Israele continui a servirgli da alibi per non investire nello sviluppo i fondi a sua disposizione: tutti i rapporti che inoltra alla Banca Mondiale sono zeppi di giustificazioni sul perché i fondi per lo sviluppo non sono stati pienamente utilizzati. Indovinereste mai a chi viene data la colpa?
Se Fayyad coltivasse autentici progetti per l’indipendenza, avrebbe già iniziato a preparare le infrastrutture per una moneta palestinese indipendente. Uno stato che vuole sviluppare un settore privato e la possibilità di remunerare le esportazioni non può farlo restando aggrappato allo shekel, che è la moneta di un’economia moderna e sviluppata come quella di Israele. In qualità di economista che ha lavorato per il Fondo Monetario Internazionale, Fayyad sa bene che la capacità di attuare un deprezzamento della moneta è una delle più importanti funzioni richieste dal FMI a qualunque stato indipendente. Ma a quanto pare questo non vale per la “Palestina”.
È la chiara prova che Fayyad non intende promuovere una vera indipendenza. Quello che vuole è continuare a far affidamento su Israele rimanendo in uno stato indefinito di “mezza occupazione e mezza indipendenza”, fino a quando la dinamica della demografia risolverà da sola la partita. Ciò che Hamas cerca di fare sul piano militare, e che Yasser Arafat tentò di faro sul piano diplomatico, Fayyad cerca i farlo sul piano dell’economia.
L’Accordo di Parigi, che è la chiave di volta economica che fa da base all’esistenza stessa dell’Autorità Palestinese, prevede per entrambe le parti la facoltà di chiedere di ridiscutere i dettagli dell’accordo. L’accordo venne firmato sedici anni fa. Eppure, nonostante tutti i cambiamenti politici ed economici nel frattempo intercorsi, Israele continua ad aderirvi, introducendo anzi delle aggiunte volontarie nella speranza che queste “regalie” possano mitigare le pressioni internazionali.
Nondimeno Israele dovrebbe rivolgere all’Autorità Palestinese alcune precise richieste, che ne rivelerebbero la mancanza di indipendenza economica e la dipendenza da Israele: – che i palestinesi intraprendano immediatamente passi verso l’emissione di una moneta palestinese indipendente, assicurandosi di stabilizzarla: che l’utilizzo dello shekel israeliano nei territori palestinesi venga abolito nell’agosto 2011, la data fissata da Fayyad per l’“indipendenza”;
– che l’Autorità Palestinese si metta nell’ordine di idee di dover compensare Israele per i danni causati da attività criminali palestinesi (furti d’auto, furti di medicinali, furti agricoli.);
– che l’Autorità doganale palestinese si decida a riscuotere da sola, senza l’aiuto di Israele, le imposte sul valore aggiunto e altre tasse che attualmente vengono riscosse per suo conto dal governo israeliano: basta coi trasferimenti mensili dei fondi IVA. Volete l’indipendenza? Prego. Quando i funzionari doganali di Fayyad saranno impegnati a riscuotere le tasse non avranno più molto tempo per dedicarsi il nuovo compito che Fayyad ha ideato per loro: la distruzione delle merci israeliane importate nell’Autorità Palestinese.
Se Fayyad perseguisse questi obiettivi economici, potrebbe diventare un capo di stato modello.
E se vorrà estendere il suo governo alla striscia di Gaza, Israele non sarà costretto a imbarcarsi in un’altra campagna militare per prendere il controllo della striscia e consegnargliela su un piatto d’argento. Israele dovrebbe piuttosto permettere al ben addestrato esercito di Fayyad di passare dalla Cisgiordania a Rafah, in Egitto: da lì potrebbe fare il suo ingresso nella striscia di Gaza e prenderne possesso, come fece sedici anni fa un altro rinomato capo palestinese. Pensate che Hamas permetterebbe a Fayyad di farlo? Ebbene, questo sarebbe il vero test dell’indipendenza palestinese.

(Da: YnetNews, 25-26.4.10)

Nella foto in alto: (a sin.) Salam Fayyad, primo ministro dell’Autorità Palestinese