L’obiettivo è sempre quello: invadere Israele

Per Fatah, diritto al ritorno significa diritto di stabilirsi dentro Israele invece che nello stato palestinese. E senza rinunciare agli indennizzi internazionali

Zakaria al-Agha, membro del Comitato esecutivo dell’Olp e del Comitato centrale di Fatah, il movimento che fa capo al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), ha recentemente dichiarato che il “diritto al ritorno” dei palestinesi, così come formulato nella risoluzione 194 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è fuori discussione, e che comunque “chi ritorna ha anche il diritto di ottenere un risarcimento”. “Si tratta di ritorno ed anche di risarcimento” ha detto Al-Agha. Zakaria al-Agha ha anche chiarito che per “ritorno” si intende che i profughi devono tornare “alle loro città, villaggi e case”, e non nello stato palestinese che verrà istituito. L’intervista è andata in onda su Palestine TV l’11 maggio 2016. Eccone i brani salienti.

Zakaria Al-Agha: «Per quanto riguarda la risoluzione generale delle Nazioni Unite 194 sul diritto al ritorno, alcuni parlano di diritto al ritorno o di ottenere un risarcimento, ma questo non è vero. La risoluzione afferma che qualsiasi profugo palestinese che ha lasciato la sua casa o ne è stato cacciato ha il diritto di tornare. Questo è un diritto fondamentale, che è indiscutibile. Ogni palestinese che vuole tornare ha il diritto di farlo. Inoltre, ha il diritto di ricevere un risarcimento per i danni causati alla sua proprietà, o per l’uso fatto dall’occupante della sua proprietà. Egli ha altresì il diritto di ricevere un risarcimento per questa proprietà. Si tratta di ritorno ed anche di risarcimento. Quando la gente dice ritorno “o” risarcimento, si riferisce al risarcimento di persone che non desiderano tornare. Una tale persona deve ricevere un risarcimento per la sua proprietà, e per il suo utilizzo nel periodo precedente la sua rinuncia [al ritorno]. Ma anche chi ritorna ha diritto a ricevere un risarcimento, giusto? La risoluzione parla di ritorno e risarcimento, e non c’è altra possibile interpretazione.

Per quanto riguarda la questione di dove i rifugiati torneranno, è molto chiaro che i profughi devono tornare alle città, ai villaggi e alle case da cui sono stati cacciati. Non si tratta di ritorno nel [futuro] stato palestinese. Alcuni dicono che lo stato palestinese dovrebbe essere la patria dei rifugiati. No. Ci sono rifugiati oggi all’interno di quello stato: a Gaza e in Cisgiordania. Eppure li consideriamo profughi che vivono nello stato di Palestina, e l’Autorità Palestinese o lo stato palestinese è considerato uno stato che ospita questi profughi. Questi profughi hanno il diritto di tornare alle loro città, ai villaggi e alle case. La loro presenza qui non è diversa dalla loro presenza in Libano, in Siria o altrove.

Alcuni anni fa, quando le cose si sono fatte più dure nei campi profughi in Libano, e c’erano problemi insieme con la guerra iniziata in Siria, e i profughi palestinesi ne soffrivano, il fratello Abu Mazen propose che la Palestina [Autorità Palestinese] accogliesse quei profughi, o [almeno] quelli che volevano partire o avevano problemi. Israele ha risposto che avrebbe accettato, a patto che essi rinunciassero al loro diritto al ritorno [dentro Israele]. La dirigenza palestinese ha respinto questa condizione, perché la loro presenza o il loro ingresso nel territorio dello stato palestinese non significa che sono tornati alle loro case».

(Da: MEMRI, 11.5.16)

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Dall’archivio di israele.net

Elhanan Miller su Times of Israel, 10.1.13:
Pur di ribadire il “diritto al ritorno”, Abu Mazen è pronto a sacrificare i palestinesi di Siria. Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha respinto l’offerta di Israele di autorizzare l’ingresso in Cisgiordania di profughi palestinesi in fuga dalla guerra civile siriana a patto che questi rinunciassero al cosiddetto “diritto al ritorno” all’interno di Israele. Lo ha detto lo stesso Abu Mazen alla stampa egiziana. Dopo il suo incontro al Cairo col presidente egiziano Mohammed Morsi, Abu Mazen ha raccontato di aver fatto appello all’Onu perché intercedesse a favore dei profughi palestinesi che vivono in Siria e chiedesse a Israele di farli entrare in Cisgiordania e striscia di Gaza. Il segretario dell’Onu Ban Ki-moon avrebbe riferito ad Abu Mazen che Israele accoglieva la richiesta a condizione che i profughi firmassero un documento con cui rinunciavano al “diritto al ritorno” sul territorio israeliano (una rivendicazione palestinese che gli israeliani considerano in pratica un “diritto di invasione” del loro stato). Abu Mazen ha detto d’aver rifiutato l’offerta. Secondo Yedioth Ahronoth, già la scorsa settimana il capo di Hamas nella striscia di Gaza, Ismail Haniyeh, aveva detto all’UNRWA di non voler accogliere a Gaza i palestinesi in fuga dalla Siria perché Israele avrebbe potuto usare questo precedente contro il “diritto al ritorno” reclamato dai palestinesi all’interno di Israele.

Marco Paganoni su NES, maggio 2004:
Strano “diritto”, però, quello al “ritorno” dei profughi palestinesi e di tutti i loro discendenti
(molti dei quali non hanno mai messo piede in terra di Palestina in tutta la loro vita) a stabilirsi non nel futuro stato indipendente (come sancisce, ad esempio, per gli ebrei la Legge del Ritorno israeliana), bensì all’interno dello stato ebraico. Strano “diritto al ritorno”, mai riconosciuto né in linea di principio né di fatto ai milioni di musulmani e indù profughi da India e Pakistan, ai vietnamiti profughi dal Vietnam del Sud, agli italiani profughi da Istria e Dalmazia. E nemmeno, naturalmente, ai milioni di ebrei, e loro discendenti, trasferiti in Israele dai paesi d’Europa, del Medio Oriente e del resto del mondo.
Ma esiste un precedente storico ancora più suggestivo, che merita d’essere ricordato.
Nel 1938 vivevano nei Sudeti tre milioni di persone di lingua e cultura tedesca. Adolf Hitler se ne servì come pretesto per aggredire la Cecoslovacchia e, in definitiva, per scatenare la guerra. Una delle conseguenze della guerra d’aggressione tedesca fu che quei tedeschi vennero alla fine espulsi senza tanti complimenti dalle terre che avevano abitato per generazioni, e dovettero reinsediarsi in Germania.

Tutta la propaganda palestinese sul “diritto al ritorno” indica senza mezzi termini l’obiettivo di invadere Israele cancellandolo dalla carta geografica

Tutta la propaganda palestinese sul “diritto al ritorno” indica senza mezzi termini l’obiettivo di invadere Israele cancellandolo dalla carta geografica

Anche il dramma dei profughi palestinesi ebbe origine da una guerra d’aggressione, quella scatenata dagli stati arabi che si servirono della questione palestinese per rifiutare la nascita dello stato ebraico d’Israele e dello stesso stato arabo palestinese previsti dal piano di spartizione dell’Onu del 1947.
Il precedente è tanto più interessante perché ci offre anche un’idea di come quelle due nazioni, entrambe oggi nell’Unione Europea, abbiano fatto i conti con il loro doloroso passato. Nel gennaio 1997 Germania e Repubblica Ceca hanno firmato una dichiarazione “di riconciliazione” che affronta di petto la questione. E’ un documento di grande rilievo, che merita d’essere letto con attenzione. In esso le due parti si dichiarano “convinte che le ingiustizie inflitte nel passato non possono essere cancellate, ma soltanto nel migliore dei casi alleviate, e che nel farlo non si devono produrre nuove ingiustizie”. Entrambe le parti si dichiarano “consapevoli che il cammino comune verso il futuro richiede una chiara presa di posizione circa il proprio passato, che non manchi di riconoscere cause ed effetti della sequenza degli eventi. La parte tedesca – continua il documento – riconosce la responsabilità della Germania per il suo ruolo nello sviluppo storico che ha condotto allo smembramento forzato e all’occupazione della repubblica cecoslovacca. Essa esprime rincrescimento per le sofferenze e le ingiustizie inflitte, ed è consapevole del fatto che la politica di violenza verso la popolazione ceca ha contribuito a preparare il terreno, nel dopoguerra, per la fuga, l’espulsione forzata e il reinsediamento forzoso. La parte ceca esprime rincrescimento per il fatto che, con l’espulsione dei tedeschi dei Sudeti dopo la guerra e con gli espropri e la privazione della cittadinanza, sono state inflitte molte sofferenze e ingiustizie a gente innocente. Entrambe le parti concordano che le ingiustizie inflitte nel passato appartengono al passato e pertanto orienteranno i loro rapporti verso il futuro. Proprio perché sono consapevoli dei tragici capitoli della loro storia, esse sono decise a continuare a dare priorità al dialogo e all’accordo reciproco nello sviluppo dei loro rapporti. Pertanto entrambe le parti dichiarano che non graveranno le loro relazioni con questioni politiche e legali che scaturiscono dal passato”.
Si notino bene i particolari. La parte tedesca (quella che ha patito l’espulsione, ma che in realtà con la propria aggressione aveva scatenato “la sequenza di cause ed effetti”) riconosce d’aver “contribuito a preparare il terreno” per l’esodo forzato. La parte ceca (quella che ha cacciato i tedeschi, ma dopo aver subito un’aggressione che mirava al suo “smembramento e occupazione”) riconosce d’aver inflitto “molte sofferenze e ingiustizie”, ma – giustamente – non si accolla la “responsabilità nello sviluppo storico” che creò quella tragica situazione. Entrambe le parti, infine, dichiarano che il passato non può essere disfatto (“cannot be undone”, nel teso inglese), col che la Germania riconosce che il dato di fatto dell’espulsione dei profughi è irrevocabile.
Si tratta di un documento di altissimo livello, la cui stesura ha richiesto una notevole dose di onestà e coraggio. Per questo vorremmo consigliarne la lettura a chi sostiene che Israele dovrebbe “come minimo ammettere la propria responsabilità nell’origine del dramma dei profughi palestinesi”, per poi procedere a “disfare” il passato invadendo Israele con i discendenti dei profughi, non essendo riusciti a farlo con eserciti e terroristi.
(ora in: M. Paganoni, Ad rivum eundem: Cronache da Israele, 2006, Proedi, Milano)

Si veda anche:
Per Hamas e Autorità Palestinese il compromesso con Israele è “alto tradimento”