L’offerta di al-Sisi, il no di Abu Mazen

Evidentemente l’obiettivo non è l’indipendenza palestinese né migliorare le condizioni dei palestinesi, ma colpire lo stato ebraico

Di Caroline B. Glick

Caroline B. Glick, autrice di questo articolo

Caroline B. Glick, autrice di questo articolo

E’ accaduto qualcosa di straordinario. Il 31 agosto scorso il capo dell’Olp e presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha detto, in una riunione di membri di Fatah, che l’Egitto si era offerto di dare all’Autorità Palestinese circa 1.600 chilometri quadrati di terra nel Sinai adiacenti a Gaza, quintuplicando così le dimensione della striscia di Gaza. L’Egitto aveva anche offerto di consentire a tutti i cosiddetti “profughi palestinesi” di stabilirsi nella striscia di Gaza in questo modo allargata. Dopodiché Abu Mazen ha informato i suoi seguaci di Fatah che aveva seccamente respinto l’offerta egiziana. Lunedì scorso un reportage della radio israeliana Galei Tzahal confermava quanto affermato da Abu Mazen, spiegando che il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi aveva proposto ai palestinesi di stabilirsi in questo loro stato nella striscia di Gaza ampliata, e di accettare forme di autonomia nelle parti di Giudea e Samaria (Cisgiordania) che sono già sotto controllo dell’Autorità Palestinese. In cambio i palestinesi avrebbero rinunciato alla pretesa che Israele si ritiri sulle indifendibili linee armistiziali del 1949 (cosiddetta Linea Verde). Secondo al-Sisi, il territorio offerto nel Sinai egiziano compenserebbe ampiamente le parti di Cisgiordania cedute dai palestinesi.

Il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen)

Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen)

Nel suo discorso ai membri di Fatah, Abu Mazen ha spiegato: “Gli egiziani sono pronti a ricevere [nel Sinai] tutti i profughi dicendo: poniamo fine alla vicenda dei rifugiati”. Ed ha subito aggiunto: “Ma è illogico risolvere il problema a spese dell’Egitto. Noi non accetteremo”. In altre parole, al-Sisi ha offerto ad Abu Mazen una soluzione concreta per porre fine alle sofferenze dei palestinesi e garantire loro indipendenza politica, e Abu Mazen ha detto: “No, potete scordarvi lo stato indipendente. Lasciate che soffrano”.

Generazioni di dirigenti e strateghi israeliani hanno insistito sul fatto che Israele non può soddisfare da solo le richieste palestinesi senza firmare la propria condanna a morte. Per soddisfare la rivendicazione di uno stato palestinese bisogna coinvolgere i vicini di Israele egiziani e giordani (peraltro storicamente responsabili della mancata nascita dello stato palestinese nel 1948). Fino ad oggi, nessun leader arabo aveva mai seriamente pensato di fare davvero ciò che va fatto. Anzi, il rifiuto di questo evidente concetto affermato da Israele è stato così intransigente che negli anni scorsi qualsiasi suggerimento in tal senso veniva accolto con grande scandalo e immediatamente bocciato da tutti.

Dunque, cosa spinge oggi al-Sisi ad agire diversamente? A cosa si deve questo drammatico cambiamento? Nell’offrire ai palestinesi un’ampia fetta del Sinai, al-Sisi non agisce certo per altruismo. Agisce per necessità. Dal suo punto di vista, e dal punto di vista dei suoi alleati sunniti non-jihadisti in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti, la guerra palestinese contro Israele sta diventando pericolosa. Di fronte alla prospettiva di un Iran dotato di armi nucleari e all’ascesa di forze jihadiste come al-Qaida, lo “Stato Islamico” (ISIS) e i Fratelli Musulmani, i sunniti non-jihadisti iniziano a pensare che non sia nel loro interesse il prolungamento all’infinito della jihad palestinese contro Israele.

Il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi

Il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi

Egitto e Giordania hanno già provato sulla loro pelle gli straripamenti della jihad palestinese, che a suo tempo ha quasi distrutto il Libano e la Giordania. Oggi riconoscono che l’azione israeliana contro i jihadisti sunniti di Hamas e quelli sciiti di Hezbollah e Iran risponde agli interessi dei sunniti non-jihadisti. E si rendono conto che l’eterna guerra palestinese contro Israele rafforza in ultima analisi i loro nemici jihadisti. Evidentemente l’offerta di al-Sisi ad Abu Mazen è un tentativo di aiutare il popolo palestinese, togliendo la questione palestinese dalle mani dei jihadisti palestinesi.

Ma, per sfortuna sua e dei suoi alleati non-jihadisti, Abu Mazen non intende accettare nulla di tutto questo. Respingendo l’offerta di al-Sisi, il presidente palestinese è rimasto fedele alla sua tradizione, al retaggio di tutti i capi palestinesi sin dai tempi del filo-nazista Haj Amin el-Husseini, e al dichiarato obiettivo strategico del suo partito Fatah e di Hamas, suo degno socio nel governo di unità palestinese: il loro obiettivo primario non è mai stata la creazione di uno stato palestinese, né tanto meno quello di migliorare le condizioni di vita dei palestinesi, bensì quello di impedire uno stato ebraico e, una volta nato, distruggerlo.

Al-Sisi si è offerto di porre fine alle sofferenze dei palestinesi e di garantire loro la terra di cui hanno bisogno per istituire uno stato indipendente smilitarizzato. Abu Mazen ha rifiutato perché è interessato solo a colpire Israele. Se Israele non risulta indebolito da quanto viene concesso ai palestinesi, allora i palestinesi possono benissimo continuare a soffrire.

Abu Mazen è ossequiato dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dall’opposizione israeliana come un moderato. Ma qui lo vediamo ammettere apertamente di non essere diverso, sul piano strategico, da l’ultimo dei jihadisti. Preferisce vedere il suo popolo patire nella miseria e nella povertà, senza uno stato che possa chiamare proprio, pur di rifiutare una proposta concreta che in qualche modo potrebbe corrispondere anche agli interessi e alle esigenze di sicurezza di Israele.

Il rifiuto da parte di Abu Mazen dell’offerta di al-Sisi dimostra ancora una volta che lui e i suoi soci sono parte del problema, non della soluzione. Preferiscono veder fiorire Hamas e Iran pur di non condividere un futuro di pace con Israele.

(Da: Jerusalem Post, 8.9.14)