Ma cosa stanno facendo Obama e Kerry?

La condiscendenza verso nucleare iraniano e violenze arabe non serve la causa della pace

Alcuni commenti sulla stampa israeliana

Scrive Dan Margalit, su Israel HaYom: «Se parlano e parlano e parlano ancora e poi alla fine da questi colloqui non viene fuori niente, le sanzioni che nel frattempo saranno state revocate non verranno più ripristinate, per non dire delle nuove sanzioni che si dovrebbe imporre e che non verranno imposte mai più. Cosa sta facendo Barack Obama per gli interessi del suo paese? Sta perdendo l’Egitto. Non ha cacciato il vassallo dell’Iran in Siria. Gli stati del Golfo non hanno più fiducia nell’ombrello americano. Sta abbandonando l’Arabia Saudita. Tuttavia non è ancora troppo tardi perché l’Occidente ponga almeno due condizioni basilari per un accordo interinale di sei mesi (con l’Iran): il congelamento delle attività iraniane di arricchimento dell’uranio e lo smantellamento di una parte significativa di questo progetto, in cambio di uno scongelamento dei fondi bloccati e dell’eventuale allentamento di qualche sanzione secondaria». (Da: Israel HaYom, 11.11.13)

L’editoriale del Jerusalem Post si dichiara d’accordo con il primo ministro Benjamin Netanyahu quando definisce “un pessimo affare” l’accordo preso in considerazione lo scorso fine settimana a Ginevra, e osserva che questa valutazione è condivisa da numerosi membri del Congresso degli Stati Uniti, oltre che dai rappresentanti alle trattative di Francia e Arabia Saudita. Scrive l’editoriale: «Per fortuna l’accordo nucleare proposto a Ginevra non è stato firmato». E aggiunge: «Speriamo che le critiche espresse da Netanyahu, dai francesi, dai sauditi e da parlamentari americani sia democratici che repubblicani abbiano convinto i paesi del P5+1 (i membri del Consiglio di Sicurezza Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia, più la Germania) a riconsiderare le loro priorità nei negoziati con gli iraniani». (Da: Jerusalem Post, 11.11.13)

Ginevra, 9 Novembre 2013. Il Segretario di stato Usa John Kerry (seconda da sinistra) con l'Alto rappresentante dell'Unione Europea per gli affari esteri, Catherine Ashton (al centro) e il Ministro degli esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif (terzo da destra)

Ginevra, 9 Novembre 2013. Il Segretario di stato Usa John Kerry (secondo da sinistra) con l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri Catherine Ashton (al centro) e il Ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif (terzo da destra)

Scrive Shimon Shiffer, su Yediot Aharonot: «Dal punto di vista di Netanyahu, le notizie circa le zoppicanti trattative tra Israele e palestinesi buttano male, molto male, perché gli Stati Uniti – non c’è un modo più garbato per dirlo – buttano addosso a Israele tutta la responsabilità per la situazione di stallo nei colloqui. Ma la notizia peggiore, dal punto di vista di Netanyahu, è legata a ciò che sta succedendo nei colloqui di Ginevra sulla questione del nucleare iraniano dove, dopo che sarà raggiunto un accordo con Teheran, la comunità internazionale assai verosimilmente cercherà di imporre a Israele il proprio schema di soluzione del conflitto con i palestinesi». (Da: Yediot Aharonot, 11.11.13)

Amos Gilboa, su Ma’ariv, discute le recenti dichiarazioni fatte in Israele dal Segretario di stato Usa John Kerry, quando ha messo in guardia da una “terza intifada” se Israele non si dimostrerà più flessibile nel processo di pace. «Dunque – scrive l’editoriale – Kerry ammette che la violenza è sottintesa come parte integrante del DNA dei palestinesi e degli arabi in generale. Kerry si guarda attorno e vede la violenza scatenata quasi da ogni parte in Medio Oriente, la accetta come “normale” e gli sta bene il fatto che i palestinesi, ogni volta che non ottengono quello che vogliono, fanno ricorso alla violenza. Questo è il classico approccio occidentale, condiscendente e razzista, che non si preoccupa minimamente quando degli arabi uccidono altri arabi o quando uccidono degli ebrei, perché lo considera un fatto “normale”. Dichiarazioni di questo genere da parte di Kerry non fanno che incoraggiare i palestinesi a inasprire le loro posizioni nel negoziato e ad aumentare il tasso di violenza. L’ impressione che si ricava dall’intervista di Kerry è che lui ci veda come bambini a cui debba essere insegnato cosa è giusto per il loro stesso bene, e cosa è sbagliato». Conclude l’editoriale: «Il nocciolo del problema è che non possiamo dirgli in faccia: stai a casa tua. Dipendiamo troppo dagli Stati Uniti. Tuttavia non dimentichiamoci che Kerry, fino a prova contraria, non rappresenta tutti gli Stati Uniti». (Da: Ma’ariv, 11.11.13)