Ma quali “militanti”, ma quali “miliziani”?

C'è ben poca speranza di sconfiggere l’orrore se non siamo neppure capaci di nominarlo

Di Howard Feldman

Howard Feldman, autore di questo articolo

Howard Feldman, autore di questo articolo

La tragica verità è che in realtà non ce ne importa abbastanza. Certo, scuotiamo la testa e deploriamo l’orrore indescrivibile di più di 130 bambini uccisi in una scuola in Pakistan, ma il fatto che la maggior parte degli organi di stampa internazionali non sono capaci di usare una parola diversa da “militante” o “miliziano” per descrivere gli aggressori ci dovrebbe riempire di disperazione.

Ho seguito i reportage della CNN e non ho capito. Riducono la morte dei bambini alla ricaduta di un complessa partita a scacchi politica. Da nessuna parte, per quanto abbia potuto vedere, hanno detto chiaramente che si trattava di jihadisti islamisti che gridavano “Allahu Akbar” mentre braccavano bambini pietrificati dal terrore che cercavano invano di nascondersi sotto i banchi in preda a una paura e a un orrore inimmaginabili. E quando li trovavano, li prendevano a raffiche di mitra in modo da ucciderne e mutilarne il maggior numero possibile.

Così sono passato sulla BBC, dove ho letto lo stesso resoconto anodino, e allora ho capito: finché non ci preoccuperemo dei nostri bambini più di quanto ci preoccupiamo della “correttezza politica”, verranno perse vite umane e gli innocenti continueranno a morire.

C’è un detto: “Se lo puoi nominare, lo puoi sconfiggere”, e quanto è vero nelle attuali circostanze! Come è possibile affrontare come si dovrebbe l’islamismo estremista e violento se non abbiamo nemmeno il coraggio di chiamarlo per quello che è. Ma quali “militanti”, ma quali “miliziani”? Questi sono vigliacchi ammazza-bambini che lo fanno in nome dell’islam. Questo è quello che sono, e se fossi un musulmano timorato di Dio certo non vorrei che lo facessero a mio nome o a nome della mia religione. Protesterei con forza contro questi loro crimini, me ne distanzierei il più possibile, aderirei senza indugi alla battaglia per sbaragliali e sradicarli. Insegnerei ai miei fratelli, alle mie sorelle e ai miei figli, e griderei a piena voce, che questo non è ciò che detta la mia religione, che la mia religione non comanda di trucidare gli innocenti.

Peshawar, 16 dicembre 2014

Peshawar, 16 dicembre 2014

Ma se il mondo dei mass-media continua a colludere con questi assassini consentendo loro di nascondersi dietro lo status di “militanti” e dietro presunti programmi “politici”, e continuano a confonderci parlando vanamente di “conflitti di confine” e di “complesse controversie storiche”, allora nessuno si sente chiamato a prendere posizione e loro continueranno come hanno fatto finora. Che sia in Pakistan o in Australia, negli Stati Uniti o in Belgio, a Tolosa o a Itamar, finché abbiamo paura di chiamarli col loro nome non riusciremo mai a sconfiggerli.

Cinicamente si potrebbe chiedere: quando inizieranno gli indignati cortei di protesta in tutto il mondo? Sono passati solo pochi mesi da quando si scatenò una campagna compatta contro Israele, durante la guerra contro il terrorismo di Hamas a Gaza. Non abbiamo dimenticato le strade di ogni grande città occidentale invase da marce di protesta dove Israele veniva accusato, condannato, offeso, umiliato. Ma in fondo sappiamo tutti che le strade, questa volta, rimarranno silenziose. Non ci saranno ondate di protesta contro i “militanti”, non ci sarà nessun clamore, e presto il mondo avrà dimenticato i bambini massacrati oggi sotto i banchi di scuola.

Anche perché il nemico semplicemente non viene nominato. Non è uno stato, non è una religione, non è un’ideologia: sono “militanti”, che è come dire nessuno. Un nemico indefinibile, evanescente. Un nemico senza volto, senza forma e senza paese. Senza responsabili, senza mandanti, senza complici. Purtroppo è così: c’è ben poca speranza di sconfiggerlo se non sappiamo nemmeno nominarlo.

(Da: Times of Israel, 16.12.14)