Maggioranza israeliani per il compromesso territoriale

Ma per 3 israeliani su 4 le violenze palestinesi continuerebbero anche senza occupazione.

Da un articolo di Ephraim Yaar, Tamar Hermann

image_959Nonostante la continua e diffusa delusione per il processo di Oslo, la sensazione prevalente in Israele oggi è che la decisione dell’allora primo ministro Yitzhak Rabin di avviare il processo di pace fu corretta e che sia stata una decisione indipendente, non forzata da circostanze esterne. Alle stesso tempo, tuttavia, è convinzione generale che, quand’anche Rabin non fosse stato assassinato e avesse continuato a governare, il processo di Oslo da lui avviato non avrebbe comunque portato, a tutt’oggi, ad un accordo di pace con i palestinesi.
Questi sono i principali risultati del sondaggio Peace Index, condotto telefonicamente nei giorni 31 ottobre e 1 novembre 2005 su un campione rappresentativo della popolazione israeliana.
A dieci anni dall’uccisione di Rabin, e con il persistere delle violenze nei rapporti israelo-palestinesi, gli autori della ricerca hanno cercato di capire se, a posteriori, la decisione di avviare il processo di pace di Oslo appaia valida o sbagliata agli occhi della popolazione ebraica d’Israele. Metà di coloro che hanno riposto hanno valutato che la decisione fosse giusta, il 39% che fosse errata, il resto non sa rispondere. Disaggregando le risposte per grado di osservanza religiosa si vede chiaramente che alla maggiore osservanza corrisponde una valutazione maggiormente negativa della scelta di Rabin su questo punto. Mentre il 62% dei “laici” approva la scelta contro il 26% che la ritiene sbagliata, fra gli “ortodossi” e gli “ultra-ortodossi” più del 70% la critica contro una piccola minoranza che la approva. Nel settore arabo della popolazione israeliana la valutazione è molto più positiva, con l’85% a favore della scelta di Rabin, e solo il 10% contrario.
Per quanto riguarda la leadership di Rabin, l’opinione prevalente fra i cittadini ebrei d’Israele è che si trattasse di un leader di buon livello, mentre le opinioni di minoranza si dividono fra chi considera che sia stato un leader di notevolissimo spessore e chi pensa che fosse un leader di medio livello o anche meno. Questa valutazione sostanzialmente positiva, sebbene non entusiasta, non coincide con le risposte date alla domanda su chi, fra cinquant’anni, sarà verosimilmente ricordato come il miglior primo ministro che Israele abbia avuto: Rabin si qualifica al terzo posto, dopo i due leader mitici della storia di Israele, David Ben-Gurion e Menachem Begin, e solo poco sopra l’attuale primo ministro Ariel Sharon. Qui, naturalmente, può giocare il fattore tempo, giacché le figure di Ben-Gurion e Begin sono entrate a far parte del pantheon dei padri della nazione. Infatti, disaggregando il dato per età, si vede che Ben-Gurion ottiene la massima preferenza nel segmento più anziano della popolazione, mentre Rabin e lo stesso Sharon prevalgono nel segmento più giovane.
Una seconda spiegazione possibile della “classifica” è che la scottante questione con cui Rabin si è confrontato e con cui oggi fa i conti Sharon (i rapporti con i palestinesi) è una questione ancora aperta che sta al centro del dibattito interno israeliano, a differenza delle sfide su cui si misurarono i leader storici Ben-Gurion and Begin.
La parte araba della popolazione israeliana considera invece di gran lunga Rabin il miglior primo ministro (61%), con Begin e Sharon ben distanziati in seconda e terza posizione (7% ciascuno) e Ben-Gurion al quarto posto.
La percentuale di coloro che ritengono che la società israeliana non sia stata modificata dall’assassinio di Rabin risulta molto più grande di quella di chi pensa che sia stata modificata in meglio, ed è anche significativamente maggiore di quella di chi pensa che sia stata cambiata in peggio.
Comunque, circa la penetrazione dei concetti base di Oslo, e in primo luogo dell’idea di cedere territori in cambio di pace, si rileva come dominante fra gli israeliani l’opinione che questa sia ormai entrata a far parte stabilmente del consenso nazionale. Anche tra gli arabi d’Israele, il 56,5% ritiene che la prospettiva del compromesso territoriale faccia ormai parte del consenso nazionale, contro solo il 10% che pensa di no.
Allo stesso tempo, però, una schiacciante maggioranza dei cittadini israeliani (74%) crede che, se anche Israele sgomberasse tutti i territori oltre la Linea Verde (ex linea armistiziale fra Israele e Giordania dal 1949 al 1967) ponendo fine all’occupazione, la violenza palestinese non cesserebbe e potrebbe persino intensificarsi. Solo il 19% del pubblico ebraico pensa che fine dell’occupazione significherebbe la fine delle violenze palestinesi. Tra gli arabi israeliani, viceversa, condivide quest’ultima opinione una maggioranza del 61%.
Sulla questione se un accordo israelo-palestinese di pace sarebbe stato raggiunto nel caso Rabin non fosse stato assassinato e avesse continuato a governare, si riscontra un grande divario fra settore ebraico e settore arabo della popolazione israeliana. Fra gli ebrei, la quota più alta (48,5%) risponde di no, mentre il 39% dice che, con Rabin, oggi un accordo sarebbe stato raggiunto. Fra gli arabi, quest’ultima è l’opinione condivisa dalla grande maggioranza (85,5%).
La profonda sfiducia nei palestinesi appare evidente anche nelle opinioni sulla situazione attuale. Una netta maggioranza (70%) ritiene che Sharon abbia ragione di non voler incontrare in questo momento il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), nonostante il 61% abbia la sensazione che Abu Mazen vorrebbe impedire gli attentati terroristici, ma non sia in grado di farlo.
Una chiara maggioranza (60%) dice infine che, se anche Hamas entrasse a far parte del governo dell’Autorità Palestinese dopo le elezioni, essa non attenuerebbe le sue posizioni verso Israele né il suo coinvolgimento negli attacchi terroristici. Esiste tuttavia una divisione fra due campi più o meno uguali sulla questione se, in tal caso, Israele debba o meno intrattenere negoziati con l’Autorità Palestinese (46 a favore, 43% contrario).
Il Peace Index Project è guidato dai professori Ephraim Yaar e Tamar Hermann, per conto del Tami Steinmetz Center for Peace Studies e dell’Evans Program for Conflict Resolution Research, dell’Università di Tel Aviv.

(Da: Ha’aretz, 8.11.05)