Manifesto sionista su carta intestata del Judenrat

Una commovente testimonianza riemersa dal ghetto Lodz

image_1993“Una nazione ebraica è qualcosa di cui il mondo ha bisogno, e questa è la ragione per cui verrà creata. Se fosse solo un uomo a pensarla così, si potrebbe definirla un’idea folle. Invece l’idea di uno stato ebraico è certamente accettabile e fattibile. Diventerà realtà senza particolari difficoltà. Nello stato ebraico, la giovane generazione scoprirà un futuro luminoso di libertà e dignità”.
Questo passaggio appare in un documento, finora mai reso pubblico, che venne scritto nel ghetto di Lodz nel 1941 e che descrive la formazione di un futuro stato ebraico. Il documento, che precede di sette anni l’effettiva dichiarazione di indipendenza di Israele (1948), sarà messo in mostra al pubblico presso il museo del kibbutz Lohamei HaGetaot (Combattenti del Ghetto), in Galilea occidentale.
L’autore è anonimo, ma la dichiarazione in polacco è scritta sulla carta da lettere ufficiale dello Judenrat (ente amministrativo ebraico) del Ghetto di Lodz. La firma in calce è quella di Mordechai Chaim Rumkowski, capo dello Judenrat del Ghetto di Lodz. Il documento è datato 18 e 19 maggio 1941.
“Formeremo una sola legione sull’esempio della Legion d’Onore francese e la chiameremo Onore Ebraico. Il suo simbolo sarà un nastro giallo, e così il simbolo della nostra vergogna si trasformerà nel nuovo emblema del nostro orgoglio ritrovato”, recita l’ultimo periodo del documento di tre pagine.
Il museo ha dato l’annuncio del documento nella ricorrenza del Giorno della Memoria. Secondo il direttore generale del museo, Simcha Stein, il documento manoscritto comprende piani dettagliati per la formazione di uno stato ebraico. Stein dice che sono anche elencate le ragioni dell’esigenza di fondare un tale stato e gli enti responsabili della sua fondazione. Contiene anche suggerimenti di sanzioni per quanti violeranno le leggi fondamentali dello stato.
La dichiarazione era scritta sul retro dei documenti che elencavano la lista delle persone aventi diritto a ricevere indumenti e cibo, e anche quelle escluse da quella lista. Essere sulla lista poteva significare la differenza tra la vita e la morte nel ghetto di Lodz, che era il secondo maggior ghetto, dopo quello di Varsavia, per ebrei e rom nella Polonia sotto l’occupazione tedesca.
Circa 200.000 persone lottavano per la sopravvivenza sulla superficie di 4 km quadrati del ghetto. Circa 43.500 di loro morirono d’inedia, freddo e malattie varie. Chiunque si avvicinasse alle mura del ghetto rischiava di essere ucciso a fucilate dalle guardie naziste del ghetto.
Inteso all’inizio come punto di raccolta temporaneo per ebrei, il ghetto divenne una specie di centro industriale, che riforniva la Germania nazista. La sua notevole produttività permise al ghetto di sopravvivere fino all’agosto 1944.
Il ghetto fu l’ultimo in Polonia ad essere “liquidato”, quando i prigionieri che vi erano rimasti furono trasportati ad Auschwitz, insieme a Rumkowski e alla sua famiglia che vi morirono il 28 agosto 1944.
“Nella nostra terra promessa, anche se avremo lunghi nasi aquilini, anche se avremo la barba rossa o nera e le gambe storte, non saremo oggetto di ridicolo e di scherno”, si legge nel documento. “Finalmente vivremo là come uomini e donne liberi, e moriremo in pace nella nostra patria. Là riceveremo riconoscimento per le nostre grandi imprese”.
La dichiarazione, che il direttore degli archivi del museo Yossi Shavit dice poter essere una bozza, prosegue così: “Vivremo là con il consenso di tutto il mondo. La nostra emancipazione a sua volta servirà a emancipare il mondo. Le nostre ricchezze arricchiranno il mondo e la nostra grandezza contribuirà a quella del mondo. La parola zyd [giudeo], che era usata come termine offensivo ed umiliante, diventerà ragione di orgoglio, come altri popoli sono fieri di chiamarsi tedeschi, inglesi o francesi”.
Shavit dice che qualunque pezzo di carta nel ghetto di Lodz era un bene prezioso, per non parlare della lista che appare sul retro della “dichiarazione di indipendenza”. La carta, dice, era preziosa perché serviva a riscaldare, a foderare e a isolare indumenti e scarpe.
Lo stile della scrittura induce Shavit a sospettare che l’autore fosse Oskar Singer, che spesso scriveva durante la sua permanenza nel ghetto di Lodz. Alcune delle sue opere firmate si possono trovare nella documentazione nel The Ghetto Fighters’ House – Itzhak Katzenelson Holocaust and Jewish Resistance Heritage Museum.
Oskar Singer morì dopo che il ghetto fu liquidato. “Si tratta di un uomo di statura e visione straordinaria. Lo definirei un secondo Herzl – dice Shavit – Allora doveva lottare per sopravvivere. Il cibo era scarso e tutti cercavano di metter le mani su una briciola di pane o su un pezzo di legno per fare un fuoco con cui scaldarsi. E là quest’uomo fu in grado di conservare la sua umanità, di creare e di pensare lucidamente”.
Stein, il direttore del museo, dice che quello che l’ha colpito di più del documento è stato che, mentre gli ebrei di Polonia e dell’Europa intera venivano raccolti e assassinati in massa, “c’erano ancora quelli che credevano nel trionfo del popolo ebraico nella propria terra. Rivelare questo documento pieno di speranza e di ottimismo nel 60esimo anno dell’esistenza di Israele riveste un significato speciale”.

(Da: Ha’aretz, 29.01.08)

Nella foto in alto: Ebrei internati nel Ghetto di Lodz