“Mezzo secolo di frustrazione”: degli israeliani

Prima di dare a Israele tutta la colpa per le violenze palestinesi, si dia un'occhiata al ruolo svolto dai palestinesi in cinque decenni di terrorismo locale e globale

Di Ely Karmon

Ely Karmon, autore di questo articolo

Ely Karmon, autore di questo articolo

In un suo recente intervento al Consiglio di Sicurezza sulla situazione in Medio Oriente, il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon ha condannato gli attacchi con “coltelli, veicoli e armi da fuoco da parte dei palestinesi contro civili israeliani” ed anche “il continuo lancio di razzi su Israele da parte di gruppi militanti nella striscia di Gaza”. Ma, ricorrendo a un linguaggio insolitamente forte, ha attribuito questi atti alla crescente frustrazione e al malcontento dei palestinesi “sotto il peso di mezzo secolo di occupazione e per la paralisi del processo di pace”. Ed ha anche affermato che qualunque  progresso verso la pace richiede il congelamento delle attività negli insediamenti israeliani. Il Segretario Generale ha ribadito queste sue dichiarazioni in un editoriale sul New York Times del 31 gennaio, dopo la dura reazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Chi scrive queste righe è estremamente critico verso la politica di Israele negli insediamenti e le sue conseguenze negative sulle relazioni tra i due popoli, ma anche verso il ruolo della comunità internazionale, e in particolare le Nazioni Unite, nella situazione attuale.

Ad un livello storico più profondo c’è da rilevare che il Segretario Generale dell’Onu non menziona, o non capisce, il “mezzo secolo di frustrazione” del popolo israeliano che aveva sinceramente sperato di arrivare alla pace con arabi e palestinesi: significa non tener conto della decisione di tutti gli stati arabi di non riconoscere e non negoziare con Israele per decenni, fino alla decisione sacrosanta (ma isolata) del presidente egiziano Sadat nel 1977 di fare la pace; e delle continue ondate di terrorismo palestinese all’interno di Israele e attraverso i suoi confini, sponsorizzate dalla maggior parte dei regimi arabi.

Dirottamenti aerei palestinesi in Giordania, 1970

Distruzione di aerei dirottati da palestinesi in Giordania, settembre 1970

Di più. C’è una verità che oggi non è politicamente corretto affermare: con i loro attentati contro gli israeliani e gli ebrei in tutto il mondo, e talvolta contro bersagli americani e occidentali, i palestinesi – non i jihadisti – sono stati i veri pionieri del terrorismo globale che ora minaccia molti stati membri delle Nazioni Unite e la comunità internazionale in quanto tale. I palestinesi riuscirono a realizzare i loro funesti piani con il sostegno attivo dei regimi siriano iracheno e libico, e grazie alla paura di reagire con forza indotta nelle loro vittime in Occidente o altrove.

Ecco una breve lista, assolutamente incompleta: il primo dirottamento di un aereo civile (della compagnia israeliana El Al) nel 1968; il dirottamento e la distruzione di quattro aerei civili nel 1970 in Giordania e al Cairo (Pan Am, TWA, Swissair e BOAC) e i tentativi di attacchi aerei suicidi da parte del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), veri anticipatori dello scenario dell’11 settembre 2001; il primo attacco alle Olimpiadi (Monaco, 1972), e si pensi ai miliardi di dollari spesi dopo quel tragico evento per garantire la sicurezza ai giochi olimpici in ogni paese globo; il primo uso di missili anti-aerei contro aerei civili (Roma 1971), di bombe barometriche su aerei civili già nel 1970 (volo Swiss Air 330, uccisi tutti i 47 passeggeri, e Austrian Airlines, senza perdite di vite umane) e il primo uso di bombe liquide (nitroglicerina); i primi attacchi contro sinagoghe, scuole ebraiche e ambasciate israeliane (da Bruxelles a Bangkok, passando per Roma, Parigi, Buenos Aires); gli attacchi contro interessi occidentali e americani (dirottamento FPLP del volo Lufthansa LH181 nel 1977 ecc.).

La maggior parte degli autori di questi attacchi, tra cui anche giovani minorenni (come i terroristi palestinesi di oggi), partiti dal Libano o dalla Giordania, vennero rapidamente scarcerati dalla maggior parte dei paesi coinvolti, anche quando ne erano rimasti vittime loro stessi cittadini. Nessuno dei paesi arabi sponsor che diedero rifugio a questi terroristi è mai stato redarguito.

Strage palestinese a Fiumicino, dicembre 1973 (34 morti)

Strage palestinese a Fiumicino, dicembre 1973 (34 morti)

Sono le organizzazioni palestinesi quelle che hanno dato l’esempio ai terroristi Hezbollah libanesi, a quelli della Rote Armee Fraktion tedesca, alle Tigri Tamil dello Sri Lanka. Ben prima che al-Qaeda istituisse i suoi campi di addestramento in Afghanistan, i palestinesi addestravano, in Libano, una lunga lista di organizzazioni terroristiche, tra cui l’Esercito Rosso giapponese, l’ASALA armeno, i Montoneros argentini, l’ETA basca.

Alcuni gruppi terroristici palestinesi preferirono farsi mercenari al servizio dei servizi segreti iracheni, siriani o libici prendendo di mira bersagli in Occidente o in altri paesi arabi. Tra questi gruppi mercenari si annoverano Fatah-Consiglio rivoluzionario/Abu Nidal, la Gioventù Araba Nazionalista per la Liberazione della Palestina, il Fronte di Liberazione Arabo, Al Saiqa.

Imad Mughniyeh, il capo di stato maggiore delle forze militari di Hezbollah e capo delle sue operazioni internazionali, è stato il terrorista internazionale più ricercato dall’America, principale architetto degli attentati esplosivi contro caserme di marines statunitensi e paracadutisti francesi della forza di pace di stanza a Beirut nel 1983 costati la vita a più di 330 persone. Ma Mughniyeh aveva iniziato la sua carriera da giovanissimo nel movimento palestinese Fatah, ne era rimasto membro fino al 1984 e terminò la sua carriera di terrorista solo quando saltò in aria con la sua auto, a Damasco, nel 2008.

Uno dei pilastri di Al-Qaeda e della sua ideologia e strategia jihadista fu lo studioso islamico palestinese Abdullah Azzam. Fu lui a creare il Maktab al-Khidamat, l’Ufficio Servizi per i mujahideen in Afghanistan, la fondazione per il reclutamento internazionale di Al-Qaeda da cui uscirono molti alti comandanti della rete terroristica. Gli insegnamenti di Azzam sulla jihad ebbero un impatto enorme su generazioni di combattenti, compreso lo stesso Osama bin Laden, e le sue idee continuano ancora oggi a ispirare i foreign fighters. Azzam sosteneva il ritorno della jihad in Palestina e fu determinante per la creazione di Hamas, sostenendola politicamente, finanziariamente, logisticamente e fornendole addestramento militare in Pakistan. La prima generazione delle Brigate ‘Izz al-Din Qassam, l’ala militare di Hamas, venne addestrata da lui. Nel 1987 i capi di Hamas gli mandarono persino una bozza del loro statuto per una sua “revisione”. Hamas è l’organizzazione islamista palestinese che fece deragliare il processo di pace tra Israele e palestinesi mettendo in atto, insieme con la Jihad Islamica palestinese, le grandi campagne di attentati terroristi suicidi subito dopo la firma degli accordi di Oslo del 1993 e per tutti gli anni ’90, e di nuovo durante la violentissima seconda intifada scoppiata dopo il summit di Camp David del 2000, quella che ha quasi completamente alienato l’opinione pubblica israeliana dal processo di pace rafforzando nella società israeliana i circoli che sostengono l’ampliamento degli insediamenti.

Razzi di Hamas

Razzi destinati a Hamas (sequestrati dalle Forze di Difesa israeliane)

Il ritiro unilaterale di Israele dalla striscia di Gaza nel 2005, abbandonando sul posto considerevoli strutture agricole ed educative, non ha portato né pace né sviluppo alla popolazione locale, mentre al contrario vennero immediatamente avviate campagne di lanci di razzi contro il territorio israeliano, la militarizzazione del territorio di Gaza sotto il primo governo elettivo di Hamas e poi, nel 2007, il sanguinoso colpo di stato di Hamas contro l’Autorità Palestinese legittima e il suo conseguente smembramento in due entità nemiche fra loro.

Nel suo articolo, Ban Ki-moon chiede alle autorità israeliane di “sostenere in modo inequivocabile l’Autorità Palestinese e le sue istituzioni” e di introdurre “cambiamenti significativi nelle politiche verso Cisgiordania e Gaza”. Certo, dice anche ai palestinesi che il cambiamento richiede da loro una ”denuncia coerente e ferma del terrorismo e l’adozione di misure preventive per porre fine agli attentati contro israeliani, compresso uno stop immediato della costruzione dei tunnel a Gaza”. Ma non c’è, da parte sua, una vera denuncia dell’intensa opera di indottrinamento e istigazione all’odio da parte dell’Autorità Palestinese ad ogni livello, anche il più elevato, né dell’esplicito sostegno da parte del governo di Hamas delle violenze in Cisgiordania e all’interno di Israele. Anzi, è interessante notare come Hamas – con il suo sanguinario terrorismo e la sua dedizione alla distruzione di Israele – non sia nemmeno citata per nome una sola volta nelle dichiarazioni del Segretario Generale.

E’ ora che le Nazioni Unite e la comunità internazionale riconoscano il ruolo chiave svolto dai palestinesi nell’attuale situazione, ed anche “il peso di mezzo secolo di frustrazione” del popolo israeliano e le ragioni che stanno alla base della sua mancanza di fiducia nella disponibilità dei palestinesi e dei loro rappresentanti ad accettare un compromesso storico per la soluzione a due stati.

(Da: Times of Israel, 10.2.16)