Moralità, anche in tempo di guerra

I predicatori di moralità non si sono avvalsi di consulenti legali quando si è trattato di colpire in aree densamente abitate.

Da un articolo di Ze'ev Schiff

image_401Praticamente non passa settimana senza che gli americani facciano ricorso all’aviazione militare sulle città irachene, compresa la capitale Baghdad, nella loro lotta contro le forze della guerriglia, le quali dal canto loro non hanno nessuna pietà per i loro fratelli iracheni e le loro moschee. E’ evidente che gli attacchi americani dall’aria su centri densamente abitati provocano anche numerose vittime fra i civili innocenti.
Non spetta a noi fare prediche, ma se si confrontano le azioni delle forze aeree israeliane nella guerra contro il terrorismo (comprese le operazioni attualmente in corso nella striscia di Gaza settentrionale) a quanto avviene in Iraq, si può affermare che le forze aeree israeliane sono “settantasette volte” più attente di quelle americane nei loro interventi su centri abitati.
Gli americani parlano volentieri della necessità che le risposte alle stragi terroristiche siano “proporzionate”. Ma questo è esattamente ciò che fa Israele.
Israele non può permettersi di fare ciò che fanno Stati Uniti, Russia, e anche Francia e Inghilterra. Per costoro, sembra che la proporzionalità venga misurata con un metro diverso. E’ difficile sapere come evolveranno le cose nel conflitto israelo-palestinese, ma chiunque accusi Israele di commettere intenzionalmente crimini di guerra nella sua lotta contro il terrorismo, evidentemente non sa di cosa parla.
Un rapido esame delle guerre che sono state combattute nell’ultimo decennio, compresa la guerra che gli Stati Uniti condussero contro i serbi in cooperazione con gli stati europei, mostra che i predicatori di moralità non si sono avvalsi dell’aiuto di consulenti legali quando si è trattato di scegliere gli obiettivi da colpire in aree densamente abitate.
Nel corso degli anni, invece, le Forze di Difesa israeliane hanno sviluppato proprio la tendenza, talvolta persino eccessiva, di coinvolgere sempre esperti di diritto nelle decisioni operative. Rispetto al passato, tale coinvolgimento oggi è senza precedenti.
L’avvocatura generale è stata cooptata nelle discussioni dello Stato maggiore. Il giudice uscente dell’avvocatura generale Menachem Finkelstein era stato elevato al rango di generale. Ogni comando di divisione israeliano ha un consigliere legale. La persona responsabile per il diritto internazionale all’interno delle Forze di Difesa israeliane viene spesso sentita persino sui dettagli delle operazioni mirate contro singoli terroristi o loro mandanti.
Tutto questo naturalmente non elimina le ingiustizie dell’occupazione o certe brutalità sul campo da parte di soldati e agenti della guardia di frontiera, ma certamente garantisce che le teste non si chiudano mai di fronte alle norme morali che devono sussistere anche in tempo di guerra.
Anche se Israele ritiene che formalmente i territori non ricadano sotto la Quarta Convenzione di Ginevra (relativa a territori occupati a un altro stato sovrano) perché è ancora in discussione la loro sovranità (che almeno in parte potrebbe spettare a Israele), è evidente che accetta e cerca di applicare le disposizioni umanitarie della Convenzione.
La tendenza attuale ebbe inizio durante la prima intifada (fine anni ’80), quando all’avvocatura generale c’era Amnon Strasnov, e continuò con maggiore intensità sotto Finkelstein, quando gli scontri violenti vennero legalmente definiti un “combattimento” (concetto assai prossimo a quello di “guerra aperta”).
Nonostante le loro tribolazioni, i palestinesi sono ben consapevoli di questo andamento. Normalmente, dopo qualche grave attentato terroristico contro civili israeliani, quando appare chiaro che Israele dovrà reagire con operazioni militari, l’Alta Corte di Giustizia viene inondata da una serie di petizioni contro le Forze di Difesa israeliane. Così avvenne ad esempio con l’operazione Scudo Difensivo del 2002, e così è avvenuto con l’operazione Arcobaleno a Rafah (striscia di Gaza meridionale) di quest’anno. Quale altro esercito combattente in tutto l’occidente deve fare i conti con una sfida legale di questo tipo? […]
In una sentenza del 2001, il presidente della Corte Suprema israeliana Aharon Barak scrisse che “Israele è impegnato in una grave lotta contro un terrorismo dilagante. Esso agisce sulla base del proprio diritto all’autodifesa. Tale combattimento non viene perseguito in un vuoto legale. Anche in tempo di guerra bisogna fare di tutto per proteggere la popolazione civile”.
Quando è stato chiesto a Finkelstein, giudice uscente dell’avvocatura generale, se questa regola viene sempre e ovunque rispettata, egli ha onestamente risposto di no. Ma è anche chiaro che non esiste, qui, nessuna volontà di ignorare intenzionalmente le norme del diritto internazionale.

(Da: Ha’aretz, 8.10.04)

Nella foto in alto: terrorista di Hamas con lanciagranate anti-carro fra i bambini palestinesi in un vicolo di Jabalya (striscia di Gaza)