Nasrallah, l’«eroe» pan-arabo bruciato dalla guerra siriana

Mentre la Siria è dilaniata, il Libano si trova seduto su una polveriera etnica.

Alcuni commenti dalla stampa israeliana

image_3747Amos Gilboa, su Ma’ariv, analizza la posizione di Israele rispetto alla situazione in Siria e scrive che, a parte garantire la sicurezza della frontiera e degli israeliani che vivono sulle alture del Golan, Israele dovrebbe mantenere il profilo il più basso possibile. E aggiunge: «Quello in Siria è un conflitto a vari livelli: locale, regionale, internazionale ed etnico. Il nostro supremo interesse richiede di non essere trascinati in quel conflitto. Siamo già stati trascinati, a suo tempo, nel conflitto libanese e ne siamo rimasti scottati. Se dovessimo farci trascinare nel conflitto siriano, l’ustione sarebbe molto peggiore».

Scrive Alex Fishman, su Yediot Aharonot, in rifermento alla situazione attuale in Libano: «Fino a un anno fa sarebbe stato difficile immaginare uno scenario in cui qualcuno – arabo o libanese – osasse lanciare dei razzi Katyusha sulla capitale amministrativa di Hezbollah nei quartieri sud di Beirut. Ma più cresce il coinvolgimento di Hezbollah nella guerra civile siriana, più si erodono la sua posizione politica e la sua forza militare deterrente all’interno del Libano». Secondo l’editorialista, «il riuscito attacco di razzi di sabato scorso crea un precedente per tutti quei gruppi che sono ostili a Hezbollah, sia in Siria che in Libano: le barriere psicologiche stanno cadendo una dopo l’altra, e il Libano è seduto su una polveriera etnica sempre più instabile» in un momento in cui «il suo governo è paralizzato». E conclude: «Per ora la memoria della precedente guerra civile non incoraggia le fazioni libanesi a tornare a quei giorni sanguinosi. Ma il paese deve aspettarsi focolai locali di violenza sempre più ampi. Quello che conta, dal punto di vista di Israele, è il continuo indebolimento di Hezbollah».

Scrive Boaz Bismuth, su Israel HaYom: «Non molto tempo fa, il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah era il simbolo dell’orgoglio arabo, un personaggio che affascinava le masse. Nasrallah era visto come l’erede di leader mitici del calibro degli ex condottieri egiziano e iracheno Gamal Abdel Nasser e Saddam Hussein. Dopo la seconda guerra del Libano dell’estate del 2006, Nasrallah era diventato l’unico capace di far rivivere il pan-arabismo. Il leader di una milizia sciita era diventato l’eroe dell’opinione pubblica araba. Il modo in cui aveva “domato” Israele lo aveva catapultato nel pantheon arabo. Ricordo bene, del periodo in cui vissi in un paese arabo (la Mauritania), i ritratti di Nasrallah appesi a tutte le porte e in tutte le automobili. E questo avveniva in un lontano paese sunnita. Era sorprendente vedere quanto fosse grande, allora, Nasrallah. Il fatto che il “vittorioso” fosse costretto a vivere da anni rintanato in un bunker veniva del tutto ignorato. Ma da allora il Medio Oriente ha conosciuto un paio di cambiamenti. La “primavera araba” – o “l’autunno sunnita”, se si preferisce – ha ribaltato l’immagine di Nasrallah di 180 gradi. Soprattutto la rivolta siriana: Nasrallah è repentinamente passato da grande leader arabo a piccolo capo di una milizia sciita che, al servizio dei regimi di Damasco e di Teheran, non esita a massacrare i combattenti sunniti in Siria. La guerra in Siria ha svelato al mondo arabo il suo vero volto. Il capo di Hezbollah, che era riuscito a ingannare tutti per vent’anni, ora improvvisamente viene visto come un boss sciita. Adesso è molto più difficile, per Nasrallah, apparire sicuro del fatto suo. Ogni sarcasmo è scomparso dalla sua retorica. “L’eroe” del ritiro delle forze israeliane nel 2000 e della guerra dell’estate 2006 è oggi un leader in declino. La guerra in Siria non ha ancora rovesciato Assad, ma in termini di immagine ha già abbattuto Nasrallah. La lotta contro Israele lo aveva circonfuso di gloria per vent’anni, ma la sua guerra in Siria gli ha puntato addosso riflettori implacabili: Nasrallah manda le sue truppe al servizio del siriano Assad a combattere altri siriani. Se anche il presidente siriano dovesse sopravvivere alla rivolta, la Siria non sarà più la stessa Siria e Nasrallah non sarà più lo stesso Nasrallah. L’asse del male potrà sopravvivere, ma ha subito un duro colpo».

(Da: Ma’ariv, Yediot Aharonot, Israel HaYom, 27.5.13)