Negoziati israelo-palestinesi: quali sbocchi possibili?

Cosa può offrire Netantyahu che non abbiano già offerto Barak e Olmert?

Alcuni commenti dalla stampa israeliana

image_2926Scrive Ha’aretz: «Il summit di Washignton ha conseguito gli obiettivi fissati ed è terminato con l’annuncio della ripresa dei negoziati per arrivare ad una composizione del conflitto israelo-palestinese che risolva tutte le questioni chiave e conduca alla nascita di uno stato palestinese. Nei suoi discorsi a Washington, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha espresso la propria disponibilità per un compromesso di portata storica. “C’è un altro popolo che condivide con noi questa terra” ha detto, e ha definito il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) “il mio partner per la pace”. Netanyahu, che in passato si era fieramente opposto all’idea di uno stato palestinese, che egli considerava una minaccia all’esistenza e alla sicurezza di Israele, ha mutato approccio. Ora parla di sovranità in cambio di sicurezza, di uno stato per i palestinesi in cambio di misure di sicurezza rigorose. Ha convinto i leader di Stati Uniti, Egitto e Giordania a sponsorizzare i colloqui diretti, e ha dimostrato una straordinaria abilità politica nel preservare intatta la sua colazione nel momento in cui avvia trattative su un ritiro dalla Cisgiordania, sul futuro degli insediamenti e sullo status di Gerusalemme. […] Ma il primo vero test delle intenzioni di Netanyahu arriverà fra tre settimane, alla scadenza del congelamento delle attività edilizie negli insediamenti. Se Netanyahu cederà alle pressioni dei coloni e dei loro sostenitori, e farà ripartire a pieno ritmo le costruzioni, apparirà chiaro che egli non è in grado di promuovere lo storico compromesso che ha promesso. Se vuole che le dichiarazioni fatte a Washington vengano credute, deve tradurle in decisioni concrete a Ariel ed Emmanuel». (5.9.10)

Il Jerusalem Post critica Mahmoud Abbas (Abu Mazen) perché non cerca di arginare l’ininterrotta marea di virulenta propaganda anti-israeliana, e perché continua a presiedere manifestazioni ed eventi ufficiali di Fatah il cui tema centrale continua ad essere la perenne opposizione all’esistenza stessa di Israele. Secondo l’editoriale, «delegittimare e de-glorificare il terrorismo resta il vero prerequisito per qualunque coesistenza: un passo necessario verso quell’autentica lotta al terrorismo cui sono chiamati tutti i partner della pace. […] L’obiettivo apparentemente condiviso da Netanyahu e da Abu Mazen – e cioè, per citare le parole del presidente palestinese, che i nostri due popoli possano vivere “per sempre come vicini e partner” – è semplicemente incompatibile con un clima che vede i palestinesi indottrinati sin dalla culla a venerare chi fa strage di civili israeliani. Cambiate quel clima, e il nostro agognato sogno di pace diventerà una prospettiva realistica». (5.9.10)

Scrive Ma’ariv: «I colloqui diretti non porteranno alla pace perché le massime posizioni di Netanyahu non corrispondono alle minime posizioni dei palestinesi». Secondo l’editoriale, sa da una parte Abu Mazen non potrà mai accettare nulla di meno di ciò che Ehud Barak ed Ehud Olmert hanno già offerto e i palestinesi hanno già rifiutato come insufficiente, dall’altra il primo ministro israeliano non potrà offrire nulla di più. E conclude: «Nella migliore delle ipotesi, con l’aiuto delle pressioni americane sarà possibile arrivare ad uno stato palestinese dai confini provvisori, come veniva prospettato nella seconda fase prevista dalla Road Map». (6.9.10)

Israel Hayom ricorda che «Menachem Begin amava ripetere che “la pace è inevitabile”. Ma forse era più realistico Ben Gurion quando distingueva fra una pace esteriore e di fatto del tipo di quella che Abu Mazen e i suoi affermano di sostenere, e la vera pace fondata sul genuino riconoscimento da parte palestinese del diritto del popolo ebraico ad avere uno Stato nella sua patria storica. Il loro rifiuto di riconoscere questo diritto è ancora oggi, più di ogni altra cosa, il più tangibile ostacolo alla possibilità di arrivare alla pace fra i due popoli». (6.9.10)