Netanyahu: «L’accordo di pace, se raggiunto, sarà sottoposto a referendum»

Ma da parte palestinese vengono già riproposte le pre-condizioni.

image_3789Se i colloqui di pace con i palestinesi arriveranno a una conclusione, i loro risultati saranno sottoposti alla ratifica di un referendum nazionale. Lo ha detto domenica il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu introducendo la riunione settimanale del governo che si è tenuta presso il Menachem Begin Heritage Center, a Gerusalemme, per celebrare i cento anni dalla nascita di Begin. “Credo che sarebbe un passaggio fondamentale – ha spiegato Netanyahu – Non penso che decisioni di questa portata, se si arriva a un accordo, possano essere adottate da questa o quella coalizione di governo, bensì che debbano essere sottoposte alla decisione della nazione”. Israele, ha sottolineato Netanyahu, vuole la pace e si appresta a riavviare le trattative con onestà e integrità morale, e si augura che i negoziati vengano condotti in modo responsabile, serio e pertinente e che, almeno in una prima fase, siano condotti nella riservatezza. Netanyahu ha poi avvertito che i negoziati non saranno facili, ma ha sottolineato che la ripresa del processo di pace è un interesse essenziale dello stato d’Israele.
L’obiettivo dei negoziati sarà quello di raggiungere un accordo definitivo che ponga fine una volta per tutte al conflitto israelo-palestinese. Per ora i termini di riferimento esatti per la ripresa dei colloqui restano piuttosto opachi, in quanto né gli israeliani né i palestinesi sono disposti a divulgare la formula precisa che hanno accettato.
Venerdì sera, il segretario di stato Usa John Kerry, che è stato nella regione sei volte nel corso degli ultimi quattro mesi, ha tenuto una conferenza stampa ad Amman, prima di rientrare negli Stati Uniti, durante la quale ha annunciato il rilancio dei negoziati israelo-palestinesi. “Sono lieto di annunciare – ha detto – che abbiamo raggiunto un accordo che pone le basi per la ripresa dei negoziati diretti sullo status finale tra palestinesi e israeliani. Si tratta di un significativo e auspicato passo in avanti”.
Dopo i complimenti di rito al primo ministro israeliano e al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) per la loro “coraggiosa leadership”, Kerry ha detto che, “se tutto va come previsto”, i negoziati israelo-palestinesi inizieranno a Washington “più o meno entro la prossima settimana”, ma funzionari israeliani hanno specificato che ragioni logistiche potrebbero richiedere un’ulteriore settimana di preparazione. All’incontro iniziale Israele sarà rappresentata dal ministro della giustizia Tzipi Livni e dall’inviato speciale di Netanyahu, Yitzhak Molcho, mentre la parte palestinese sarà rappresentata dal capo negoziatore per l’Autorità Palestinese, Saeb Erekat.
Secondo l’annuncio ufficiale, i negoziati dureranno fra nove mesi e un anno. I palestinesi siederanno al tavolo negoziale senza pre-condizioni (quali il riconoscimento preventivo da parte di Israele delle linee pre-‘67, dichiarazioni su Gerusalemme o congelamenti delle attività edilizie ebraica in Cisgiordania). Tuttavia due aiutanti di Abu Mazen, parlando in forma anonima, hanno detto a Times of London che il presidente palestinese ha ricevuto la garanzia scritta da parte di Kerry che la base per i negoziati sarebbero state le linee del ‘67. La circostanza è stata smentita da rappresentanti israeliani secondo i quali, invece, i palestinesi si sarebbero impegnati a non agire contro Israele per i prossimi nove mesi presso le istituzioni internazionali. L’ufficio del primo ministro ha sottolineato che si tratta di elemento significativo, dal momento che i palestinesi avevano precedentemente annunciato l’intenzione di rilanciare a settembre la loro campagna alle Nazioni Unite per il riconoscimento unilaterale del loro stato (senza negoziato né accordo con Israele).
Fonti israeliane hanno detto che senza dubbio Erekat avanzerà la richiesta che i colloqui si basino sulle linee pre-‘67 e la richiesta di un congelamento degli insediamenti, ma saranno temi oggetto di trattativa e non pre-condizioni.
La principale concessione da parte israeliana è piuttosto il consenso alla scarcerazione di 85 detenuti palestinesi, compresi diversi colpevoli di reati di sangue, le cui sentenze di condanna risalgono a prima della firma degli Accordi di Oslo del 1993. Le scarcerazioni avverranno per fasi man mano che progrediscono i negoziati nel corso dell’anno. Nessuno dei terroristi verrà scarcerato prima dell’inizio dei colloqui. Il primo gruppo di 40 detenuti dovrebbe essere rimesso in libertà entro sei settimane dall’inizio dei negoziati.
Sabato sera, Netanyahu ha diramato una dichiarazione in merito al riavvio dei negoziati. “Considero un interesse strategico vitale per Israele la ripresa del processo diplomatico in questo momento – ha scritto Netanyahu – Essa è importante di per sé, allo scopo di cercare di portare a termine il conflitto tra noi e i palestinesi, ed è anche importante alla luce delle sfide strategiche che si ci si parano davanti, innanzitutto da Iran e Siria. Ho in mente due precisi obiettivi – ha spiegato Netanyahu nella sua dichiarazione – Prevenire la nascita fra il mar Mediterraneo e il fiume Giordano di uno unico stato bi-nazionale che metterebbe a repentaglio il futuro di Israele in quanto stato ebraico, e impedire la nascita di un altro stato terrorista sostenuto dall’Iran ai confini di Israele, il che sarebbe altrettanto pericoloso per la nostra esistenza. Dovremo trovare un equilibrio tra questi due principi” ha concluso Netanyahu, aggiungendo che “nel corso dei negoziati i palestinesi dovranno fare concessioni e scendere a compromessi che permettano a Israele di garantire la propria sicurezza e proteggere i propri interessi vitali”.

Yasser Abed Rabbo, segretario generale dell’Olp, intervistato domenica da Voce della Palestina, la stazione radio dell’Autorità Palestinese, ha dichiarato che in realtà la dirigenza palestinese non ha ancora deciso di tornare al tavolo dei negoziati con Israele, spiegando che tale decisione è “condizionata a numerosi chiarimenti su questioni fondamentali”. Rabbo ha aggiunto che vi sono ancora molti “punti spinosi” che devono essere risolti.
Mohamed Shtayyeh, ex negoziatore dell’Autorità Palestinese e alto esponente di Fatah, parlando domenica a Ramallah ha ribadito le pre-condizioni palestinesi per la ripresa dei colloqui di pace richiedendo “un impegno israeliano ad accettare le linee pre’67, il rilascio di detenuti e il blocco delle costruzioni negli insediamenti”.
Il giornale ufficiale dell’Autorità Palestinese, Al-Ayyam, ha pubblicato un articolo dell’analista politico Hani Habib nel quale si accusa Kerry di essere un campione di “auto-inganno”. Sottolineando che i palestinesi non hanno ricevuto alcuna assicurazione scritta che i colloqui si baseranno sulle linee pre-’67, l’analista dell’Autorità Palestinese scrive: “Abbiamo scoperto che una delle caratteristiche di Kerry è la sua straordinaria capacità di ingannare non solo gli altri, ma innanzitutto se stesso. Quest’uomo si illude d’aver messo insieme negoziatori palestinesi e israeliani”.
La decisione di Abu Mazen di riaprire i colloqui di pace con Israele, scrive Khaled Abu Toameh sul Jerusalem Post, ha attirato aspre critiche nel fine settimana praticamente da tutte le maggiori fazioni palestinesi, e alcune voci critiche anche dal suo partito Fatah. Mohamed Dahlan, esponente di Fatah avversario politico di Abu Mazen ed ex comandante della sicurezza dell’Autorità Palestinese nella striscia di Gaza, domenica si è unito al coro delle critiche accusando il presidente dell’Autorità Palestinese di commettere “un suicidio politico” nel momento in cui accetta di tornare ai negoziati con Israele.

(Da: Israel HaYom, Times of Israel, Jerusalem Post, 21.7.13)

Nella foto in alto: il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu durante un loro incontro alla Casa Bianca nel settembre 2010