Niente in comune, a parte l’odio per Israele

Più ampio che mai il divario fra l’Iran sciita e il mondo arabo sunnita guidato dall'Egitto.

Di Eyal Zisser

image_3657Il presidente iraniano Mahmoud Ahamadinejad ha iniziato la sua storica visita al Cairo con il piede sbagliato. L’ospite si è prodotto nella sua tradizionale sequela di invettive piene di odio contro Israele a beneficio degli egiziani; i quali però hanno preferito fare pressione su Ahmadinejad sulla questione Siria, dove l’Iran è schierato a sostegno dell’alleato presidente Bashar al-Assad che da quasi due anni sta massacrando la popolazione siriana. E così, per tutta la giornata i padroni di casa egiziani hanno coperto Ahmadinejad di dure critiche, alcune francamente imbarazzanti, non solo sul ruolo negativo dell’Iran in Siria, ma anche sul comportamento eversivo di Tehran contro l’Arabia Saudita e gli emirati petroliferi del Golfo. Non basta. Ci sono state anche critiche al tentativo dell’Iran di esercitare la sua influenza in Iraq. A questo punto, non sorprende che qualcuno abbia pensato di aggredire fisicamente il presidente iraniano durante la sua visita a una moschea del Cairo.
Il presidente egiziano nonché membro della Fratellanza Musulmana, Mohammed Morsi, non cerca di nascondere la sua ostilità verso Israele. Ma Morsi fa parte di un movimento che i musulmani sciiti come Ahmadinejad considerano avversario, se non addirittura nemico. Morsi si identifica con i musulmani sunniti in tutto il mondo islamico e con la loro lotta contro l’Iran sciita e i suoi alleati, vuoi in Siria, vuoi in Iraq o nel Golfo Persico. A seguito della recente ondata di sanguinosi disordini in Egitto, Morsi ha meglio compreso l’importanza del rapporto speciale fra il Cairo e Washington. Dopo tutto, la capacità dell’Egitto di nutrire 86 milioni di bocche affamate dipende sia dalla buona volontà dell’America, sia da quanto essa apre il portafogli. Morsi sa anche che deve salvaguardare il rapporto e il coordinamento fra le forze di sicurezza egiziane e quelle israeliane. Per farla breve, Ahmadinejad ha scoperto nel palazzo presidenziale d’Egitto un “Mubarak con la barba”, come hanno soprannominato l’attuale presidente egiziano i suoi critici.
Morsi segue sue proprie considerazioni politiche, ed era sensato da parte sua invitare Ahmadinejad a partecipare al summit dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica nella capitale egiziana. Ma, a parte la comune ostilità verso Israele, i due leader non possono trovarsi d’accordo praticamente su nient’altro. Le due nazioni non sono nemmeno riuscite a riavviare le piene relazioni diplomatiche interrotte sin dal 1979, quando l’Egitto si risolse a fare la pace con Israele.
Questa visita al Cairo è il canto del cigno per Ahmadinejad, destinato a scomparire dalla scena nel giro di pochi mesi con le elezioni presidenziali iraniane di giugno. Anche a Tehran capiscono che i funambolismi mediatici non possono sostituire una vera leadership da statista. Forse bisognerebbe preoccuparsi che Ahmadinejad venga sostituito da un leader più qualificato e più sofisticato, ma il divario fra l’Iran sciita e il mondo arabo sunnita, guidato dall’Egitto, rimane più ampio che mai.

(Da: Israel HaYom, 6.2.13)

Nella foto in alto: il presidente egiziano Mohammed Morsi e il presidente iraniano Mahmoud Ahamadinejad