No, non vogliamo la guerra. Sì, un accordo migliore era possibile

Dopo aver fallito nei negoziati con l'Iran, al danno aggiungono la beffa spacciando una falsa versione della posizione di Israele

Di David Horovitz

David Horovitz, autore di questo articolo

David Horovitz, autore di questo articolo

Tre mesi fa, difendendo quelle che definiva le “storiche” intese-quadro raggiunte con l’Iran a Losanna sul truffaldino programma nucleare di Teheran, il presidente americano Barack Obama avanzava un’insinuazione infondata e decisamente sgradevole. “Non è un segreto – dichiarava Obama il 2 aprile – che il primo ministro israeliano e io non siamo d’accordo sul fatto se gli Stati Uniti debbano andare avanti verso una soluzione pacifica della questione iraniana”. L’antipatico sottinteso? Che mentre l’America favorisce la diplomazia per contrastare la marcia dell’Iran verso l’atomica, Benjamin Netanyahu vuole la guerra. Mercoledì scorso alla Camera dei Comuni, un giorno dopo che le potenze mondiali guidate dagli Usa avevano firmato il loro accordo globale con gli estremisti islamisti che governano l’Iran, il ministro degli esteri britannico Philip Hammond accentuava di un altro paio di gradi quella falsa versione. “La domanda che bisogna porsi è che tipo di accordo verrebbe accettato da Tel Aviv” ha detto Hammond in parlamento, ed ha vergognosamente continuato: “La risposta, naturalmente, è che Israele non vuole nessun accordo con l’Iran”. Infine, sempre mercoledì, Obama ha definitivamente sancito l’odiosa distorsione della posizione di Israele. “Qui ci sono solo due alternative – ha detto giustamente il presidente in una conferenza stampa – O la questione di un Iran con arma nucleare viene risolta diplomaticamente attraverso un negoziato, o viene risolta con la forza attraverso la guerra. Queste sono le opzioni”. E fin qui, niente da dire. Ma Obama ha continuato, sostenendo che l’accordo firmato martedì a Vienna è il migliore che si sarebbe mai potuto ottenere e che i critici come Netanyahu non hanno mai presentato delle valide alternative. “Non ho sentito quale sarebbe la vostra alternativa”, ha esclamato il presidente con la voce della buona volontà offesa.

Il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif a Vienna

Il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif a Vienna

Il risultato di tutta questa oratoria bugiarda? Gli Stati Uniti e i loro partner hanno concluso un pessimo accordo con l’infido regime di Teheran, un accordo che pone in serio pericolo Israele e – sia ben chiaro – non solo Israele. E ora peggiorano il fallimento travisando quello che ne è uscito e cercando di buttare un po’ di colpa, del tutto ingiustificatamente, addosso a ciò che Hammond ha graziosamente chiamato “Tel Aviv” (intendendo il governo israeliano, che sta a Gerusalemme).

Beh, ecco come stanno invece le cose. In primo luogo, Israele non preferisce affatto l’opzione della guerra rispetto alla diplomazia, per contrastare la tenace marcia degli ayatollah verso l’atomica. L’ultima cosa che vuole o che serve a questo paese, a questo piccolo frammento di civiltà sull’orlo di un Medio Oriente sempre più fanatico, sono ulteriori conflitti. Quello che voleva, e che vuole, è una diplomazia che riesca effettivamente a fermare e invertire la marcia iraniana verso il nucleare. Quindi: no, signor presidente Obama, il disaccordo di Netanyahu non è “sul fatto se gli Stati Uniti debbano andare avanti verso una soluzione pacifica della questione iraniana”.

In secondo luogo: certo che c’era un accordo migliore da fare, e certo che Netanyahu e Israele hanno suggerito valide alternative. Ecco tre esempi cospicui.

1. Gli Stati Uniti non si sarebbero alienati i partner del gruppo 5+1 se avessero insistito sul fatto che l’Iran, costretto a sedere al tavolo negoziale sotto la pressione economica, ammettesse le sue precedenti attività nucleari militari illecite come cruciale condizione di base per qualsiasi futuro accordo. Gli iraniani costruirono intere strutture segrete in violazione dei loro obblighi internazionali, e non ne hanno mai dovuto render conto. Lasciare che l’Iran la facesse franca ha influenzato negativamente l’intero processo negoziale, permettendo all’Iran di atteggiarsi a povero innocente, pieno di buone intenzioni, ingiustamente perseguitato e vincolato.

2. Una trattativa più robusta avrebbe assicurato – come riconoscevano necessario fino a poco tempo fa gli stessi rappresentanti dell’amministrazione americana – che gli ispettori dell’AIEA avessero accesso immediato (senza lunghi giorni di preavviso) a qualsiasi sito iraniano sospetto, e non solo agli impianti nucleari conosciuti: un elemento centrale per prevenire ulteriori imbrogli da parte iraniana.

3. Un accordo migliore non avrebbe permesso all’Iran di continuare la ricerca e sviluppo e la sperimentazione di centrifughe sempre più avanzate per l’arricchimento di uranio: centrifughe che possono abbreviare notevolmente il break-out, il tempo necessario all’Iran per costruire un’atomica nel momento in cui decidesse di farlo. “Per dieci anni la ricerca e sviluppo iraniana nell’arricchimento dell’uranio includerà soltanto centrifughe IR-4, IR-5, IR-6 e IR-8”, dice il testo dell’accordo: parole studiate in modo da far sembrare queste condizioni una sorta di concessione da parte dell’Iran sotto la pressione internazionale. Soltanto le centrifughe IR-4, 5, 6 e 8? La IR-8, ancora in fase di perfezionamento, è la centrifuga più avanzata dell’armamentario nucleare iraniano. Non c’è niente di più sofisticato. E i termini dell’accordo consentono all’Iran di perfezionarla in piena legittimità.

Da sinistra, il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, il segretario agli esteri britannico Philip Hammond e il segretario di stato Usa John Kerry, dopo la foto di gruppo lo scorso 14luglio, a Vienna

Sebbene schiaffeggiato a più riprese dal segretario Kerry quando criticava l’accordo in preparazione, sebbene apertamente accusato di non sapere neanche di cosa stesse parlando e di avanzare obiezioni basate su informazioni inesatte, Israele ha evidenziato eccome queste e altre gravi carenze nel testo di un accordo che in effetti si è poi rivelato ancora più difettoso del previsto. Altro che non suggerire alternative: certo che Israele ha indicato modifiche nei dettagli-chiave che avrebbero reso assai più efficace, e accettabile, l’accordo. (Lo scorso aprile, il governo israeliano ha reso pubblico un documento che evidenziava i temi centrali di interesse vitale. Senza dubbio in privato ne ha suggeriti molti di più, tutti evidentemente scartati.)

Dunque, signor ministro Hammond, è semplicemente falso affermare che nessun accordo sarebbe stato accettabile per Israele. E signor presidente Obama, è falso affermare che non c’era un accordo migliore e che Israele non ha suggerito nessuna valida alternativa. […]

Giorno dopo giorno, il messaggio di Teheran è “morte all’America” e “morte a Israele”. La posizione esplicita della Guida Suprema dell’Iran, ribadita sabato scorso, è che l’America, e tutto ciò che l’America rappresenta, è l’incarnazione dell’arroganza globale con la quale la rivoluzione islamica non potrà mai essere in pace. Ma la leadership americana e occidentale insiste a ignorare il messaggio inculcato dalla dirigenza iraniana al suo popolo e preferisce sorridere e stringere la mano al ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, lasciandosi incantare dalla sua bonomia e dal suo inglese fluente. Che tristezza vedere John Kerry, zoppicante sulle sue stampelle, conferire piena legittimità internazionale a un regime che appena quattro giorni prima aizzava il proprio popolo a invocare la distruzione dell’America in adunate di massa.

Obama ha ammesso mercoledì di non essere sicuro che la sua apertura verso gli ayatollah funzionerà. “La mia speranza – ha detto – è che, a partire da questo accordo, potremo continuare un dialogo con l’Iran che lo incentivi a comportarsi in modo diverso nella regione, ad essere meno aggressivo, meno ostile, più cooperativo, e ad operare nel modo in cui ci si aspetta che si comportino le nazioni nella comunità internazionale. Ma non è che contiamo su questo. Quindi questo accordo non è subordinato a un cambiamento di comportamento da parte dell’Iran”.

Ed è proprio qui, naturalmente, la tragedia di questo accordo cocciuto e irragionevole: che si tratta di un atto di ingiustificato accomodamento verso un regime oscuro, pericoloso e irriformabile; un atto destinato a costare caro al mondo libero.

Vederci ingiustamente criticati e travisati da parte di leader mendaci, al punto da farci passare per ottusi guerrafondai mentre si consuma questo disastro, mentre noi israeliani stiamo sulle spine sapendo che dovremo combattere contro le ripercussioni della loro caparbia incompetenza, significa davvero aggiungere una beffa indegna al danno che incombe.

(Da: Times of Israel, 16.7.15)