“Non mi vedrete piangere, qui”

Due donne eccezionali, ai funerali di Ehud Goldwasser

Da un articolo di Einat Fishbein

image_2194Due donne. Entrambe in lutto. Una camicetta nera, un volto rigato di lacrime. L’uomo, il padre, è fuori dall’inquadratura. Siede di lato con la camicia lacerata e non dice nulla. La guerra è una faccenda da uomini, il lutto cosa di donne.
“Non mi vedrete piangere, qui”, ha detto Miki Goldwasser quando ha iniziato a parlare, rifiutando di adeguarsi alle abituali norme del lutto. Lei non è il tipo di madre che si accascia sulla bara piangendo. Neanche una lacrima. I capelli corti, il viso affilato e forte, gli occhiali scuri calati sugli occhi. È lì perché ha qualcosa da dire, non per soddisfare l’aspettativa di pianti liberatori degli astanti.
Karnit Goldwasser le siede di fianco. Piange, ma ogni volta che vede un conoscente o un amico, o quando un pensiero la attraversa la mente, sul suo volto si disegna un debole sorriso, vivido e naturale come le lacrime. Il viso morbido, i capelli sciolti, ha lasciato i suoi occhiali scuri a qualcuno. È difficile toglierle gli occhi di dosso. Karnit siede lì, senza alcun riparo. È venuta a dire addio a suo marito, ma non può dimenticare che da un po’ di tempo non è più soldato suo.
Con voce piena di indignazione, Miki Goldwasser è stata il primo e per ora l’unico israeliano che abbia affrontato a muso duro la propaganda di Nasrallah. “Miei concittadini, levate alta la testa” ha detto, come nessun leader avrebbe osato fare. Senza esitazione ha parlato di vittoria nella seconda guerra in Libano (2006): senza problemi o dubbi, e se vi sono stati insuccessi, ce ne occuperemo. Sono affari nostri, e che nessuno si permetta di compiacersi delle nostre debolezze.
Sommessamente, col nodo in gola, Karnit Goldwasser parla al suo marito diletto. “Ti darò il mio addio personale in un altro momento”, dice. Proprio come la madre di suo marito, anche Karnit, qui, si rivolge alla nazione. Giura fedeltà a Ehud per la seconda volta, sostiene la sua marcia sicura verso il campo di battaglia, e promette a tutti noi che andrà avanti. Per quattro volte, nella sua orazione, ha chiesto come possa il tempo guarire tali ferite, ma non dice neanche una volta che non vi sia una cura.
Siedono fianco a fianco e a un certo punto entrambe abbracciano l’uomo che sembra la persona più a pezzi, il padre Shlomo. Ma oggi sono venute ad aiutare un’intera nazione ad elaborare il lutto. Miki Goldwasser è venuta a riscattare la nostra dignità nazionale, Karnit è venuta a riscattare la nostra anima collettiva. E sono completamente dedite al loro compito. Ecco una madre e una moglie ebree eccezionali, che affrontano il sacrificio, che concedono al loro dolore personale di dare forza alla nazione.
C’è qualcosa nella saggezza di queste due donne, nella loro lucidità e nella loro persona, che va al di là di ciò a cui siamo abitati. Dopotutto, noi e i nostri leader ci siamo abituati a pensare che il dolore renda deboli e che si possa e si debba reagire alla paura senza stare a pensarci troppo. Loro, invece, non cedono al dolore, non cedono alla paura e hanno meditato attentamente e a lungo ogni parola che hanno pronunciato.
Karnit e Miki Goldwasser non son il tipo di donna che si batte pubblicamente per tirar fuori le truppe dal Libano. Ma forse, a modo loro, sapranno mondare le nostre anime dagli orrori del Libano

(Da: YnetNews, 18.07.08)