Oh cielo, il mondo è tanto arrabbiato con noi!

L’amara ironia di un israeliano scettico e disilluso

Di Ziv Tidhar

Ziv Tidhar, autore di questo articolo

Ziv Tidhar, autore di questo articolo

Il mondo è arrabbiato con noi, lo dicono anche Tzipi Livni e Yair Lapid. Viviamo in una bolla di euforia autoreferenziale, rifiutandoci di vedere che anche i nostri migliori amici stanno per girarci le spalle. Presto resteremo soli, isolati e boicottati. Nessuno si prenderà più la briga di venire a farci visita. Nemmeno i gay per il Gay Pride di Tel Aviv.

Cosa abbiamo fatto per meritarci questo, vi chiederete. In fondo, molti di noi sono affabili e ospitali; in questo paese si trova capitale umano di alta qualità; siamo una piccola isola di buonsenso occidentale nel mare di crescente arretratezza e oscurantismo che dilaga nei dintorni. Israele è una potenza in fatto di conoscenze e tecnologie, e i suoi frutti vengono goduti dalla popolazione del mondo intero.

Beh, tutto questo non funziona più. Oggi ci atterriscono dicendoci che il mondo è cambiato. Una volta la gente voleva semplicemente che Israele fosse annientato, ma ora è tutto diverso: oggi c’è l’odio di terza generazione contro Israele, armato di Twitter e Instagram. Insomma, non è più uno scherzo. Se non stiamo attenti, ci ritroveremo qui da soli, al buio, quando anche gli ultimi immigrati clandestini africani se ne saranno andati di propria volontà per averne avuto abbastanza anche loro. Potrebbe persino accadere che non entreremo più nella semi-finale dell’Eurovision della canzone, e la nostra televisione dovrà mandare in onda le repliche delle sit-com degli anni ’80 quando i sagaci autori di programmi satirici trasgressivi come Eretz Nehederet se ne saranno fuggiti in Europa. È chiaro che non potremmo sopportare una situazione così orribile.

In questa foto, scattata con un obiettivo da 58 mm, si vede in primo piano un villaggio di Cisgiordania che diventerebbe parte dello stato palestinese se Israele si ritirasse fino alla ex linea armistiziale pre-’67. Sullo sfondo: Tel Aviv e il mar Mediterraneo.

In questa foto, scattata con un obiettivo da 58 mm, si vede in primo piano il villaggio palestinese di Dayr Balut, in Cisgiordania, che diventerebbe parte dello stato palestinese se Israele si ritirasse fino alla ex linea armistiziale pre-’67. Sullo sfondo: Tel Aviv e il mar Mediterraneo (per i dati tecnici, clicca la foto).

E dunque, cosa stiamo aspettando? Basta semplicemente accettare il ritorno ai confini del ‘67 senza altri ritardi, rinunciare alle misure di sicurezza nella Valle del Giordano e concedere la cittadinanza a decine di migliaia di agguerriti palestinesi, e il gioco è fatto. Certo, ci saranno razzi e missili che piomberanno sull’aeroporto Ben-Gurion e sulle città dell’area metropolitana di Tel Aviv; ma suvvia, non ci fermeremo su queste piccinerie: in compenso il mondo smetterà di brontolare. Dopo tutto, lo stato ebraico è stata fondato per dare agli europei un po’ di requie e di tranquillità da questi ebrei che hanno continuato a tormentarli per centinaia di anni.

Dov’è il problema? Basterà starsene sotto il tavolo di cucina quando suoneranno le sirene dell’allarme anti-missili e trascorrere il sabato nei caffè-bunker di cemento armato per risparmiarci la necessità di correre in pochi secondi nei rifugi. Forse avremo qualche difficoltà coi ragazzi a casa da scuola dopo l’ennesimo razzo che “per miracolo” non avrà centrato una scuola di Herzliya, e coi lavoratori high-tech della vicina zona industriale che saranno già stati da tempo licenziati: in effetti, nonostante tutto il loro apprezzamento per la genialità ebraica, le imprese straniere avranno già fatto fatto i bagagli considerando un po’ troppo pericoloso fare affari in questo posto. Ma niente preoccupazione. Aderendo alla nuova politica di sobrio autocontrollo, le Forze di Difesa israeliane non andranno più a colpire le postazioni in Cisgiordania da cui faranno fuoco su di noi: perché rischiare una “spirale di violenza” che potrebbe sfociare in un’altra marea di proteste e condanne anti-Israele?

Solo nei quartieri sud di Tel Aviv tutto rimarrà più o meno uguale. Gli immigrati clandestini in fuga dalle dittature africane saranno sostituiti da nuovi ospiti: un flusso interminabile di palestinesi in fuga dagli orrori del regime di Hamas, che si sarà imposto anche a Jenin, Ramallah e Nablus. Ne arriveranno a migliaia ogni giorno: donne schiavizzate, omosessuali perseguitati, semplici laici angariati e vessati. È chiaro che non verranno respinti, perché Israele rispetterà alla lettera la Convenzione sui rifugiati, il “diritto al ritorno” dei pronipoti dei profughi e la loro autonoma scelta di non far parte dello “stato palestinese”. Se no, il mondo si arrabbia.

(Da: YnetNews, 20.1.14)

Si veda anche: Linee del ’67: a un tiro di schioppo. Sul sito MyIsrael, una spettacolare fotografia che vale più di mille discorsi