«Oh figli di Sion, scimmie barbare, miserabili maiali»

Quale pace è possibile con chi continua a imbottire i propri figli di odio razzista?

Da un articolo di Ruthie Blum

image_3780L’Egitto è sull’orlo di una sanguinosa guerra civile, la popolazione siriana continua ad essere massacrata giorno dopo giorno, la conflittualità in Turchia non accenna a placarsi, la corsa dell’Iran alle armi nucleari accelera anziché rallentare. È chiaro che nulla di tutto questo risponde agli interessi americani e occidentali. Eppure nulla di tutto questo è anche solo lontanamente legato agli obiettivi delle reiterate visite del segretario di stato americano John Kerry in questa regione.
No, l’ossessione del capo della diplomazia americana è mediare tra Israele e Autorità Palestinese. E poiché l’obiettivo del movimento nazionale palestinese è eliminare Israele, l’unico possibile progresso che Kerry può fare comporta esercitare pressioni su Israele affinché accetti una sfilza di pre-condizioni palestinesi: non per fare la pace, si badi bene, ma solo per avviare “colloqui di pace”.
Quand’anche tali pre-condizioni (ammettere come “confini” le linee armistiziali del 1949 che confini non sono mai state, scarcerare un massiccio numero di terroristi e stragisti detenuti in Israele, ecc.) non prefigurassero mosse suicide per lo stato ebraico, in ogni caso accettarle non porterebbe a nulla che assomigli alla pace.
La settimana scorsa, mentre i rappresentanti del Dipartimento di stato americano si trattenevano in Israele per continuare l’opera di persuasione “su entrambe le parti” affinché si siedano al tavolo delle trattative, e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ribadiva d’essere pronto a farlo senza nessuna pre-condizione, la televisione ufficiale dell’Autorità Palestinese di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) pensava bene di dilettare i suoi spettatori con una vera chicca, in vista del mese islamico del Ramadan che inizia in questi giorni: ha mandato in onda una trasmissione in cui due bambine palestinesi, introdotte da una conduttrice compiacente e rintontita, venivano fatte recitare a memoria una ineffabile “poesiola”.
L’impagabile spezzone è stato sottotitolato in inglese e diffuso domenica scorsa da Palestinian Media Watch.

Eccone la trascrizione:

Prima bambina:
«Io non temo il fucile perché le vostre moltitudini sono mandrie illuse e ignoranti
Gerusalemme è la mia terra, Gerusalemme è il mio onore
Gerusalemme è i miei giorni e i miei sogni più ardenti
Oh, voi che avete ucciso i devoti profeti di Allah
Oh, voi che siete stati allevati versando sangue
“Voi siete stati condannati all’umiliazione e agli stenti
“Oh figli di Sion, oh i più malvagi fra tutte le creature
“Oh scimmie barbare, miserabili maiali».

Seconda bambina:
«Gerusalemme non è la vostra tana
Gerusalemme si oppone alle vostre moltitudini
Gerusalemme vomita fuori la vostra impurità
Perché Gerusalemme, o impuri, è devota, immacolata
E Gerusalemme, o voi che siete immondizia, è pulita e pura
Io non temo la barbarie
Fino a quando il mio cuore è il mio Corano e la mia città
Finché ho il mio braccio e le mie pietre
Fino a quando sarò libera e non baratterò la mia causa
Non temerò le vostre moltitudini
Non temerò il fucile.»

(trasmesso dalla Tv dell’Autorità Palestinese-Fatah il 3 luglio 2013)

Non è una novità. Esponenti ed emittenti palestinesi ci hanno abituati a queste continue e compiaciute manifestazioni di feroce indottrinamento all’odio, alla disumanizzazione di ebrei e Israele, alla “teologia della condanna e della sostituzione”: manifestazioni che spiegano meglio d’ogni altra cosa come mai l’opinione pubblica israeliana resta tanto scettica circa le prospettive di un vero accordo di pace nel futuro prevedibile.
E infatti, secondo il più recente sondaggio del Peace Index, che viene aggiornato mensilmente dall’Israel Democracy Institute e dell’Università di Tel Aviv, benché il 64% degli ebrei israeliani sia favorevole a negoziati di pace con i palestinesi (e la maggior parte di loro sia teoricamente favorevole alla soluzione “due stati per due popoli”), solo il 22% crede che Kerry possa farcela davvero.
Se gli sforzi di Kerry fossero solo un esercizio futile potrebbero essere liquidati come l’ennesimo esempio della totale impotenza in politica estera dell’amministrazione americana. Il guaio è che Israele è l’unico paese della regione alla cui porta gli Stati Uniti possono sempre bussare. E quello che la Casa Bianca e il Dipartimento di stato non capiscono è che un’entità palestinese che parla dei “figli di Sion” come della “più malvagia delle creature” e insegna ai propri figli a paragonarli a “scimmie barbariche e miserabili maiali” non è avviata sulla strada della democrazia e della pace più di quanto non lo siano la Siria o l’Egitto.
Finché Washington non aprirà gli occhi su questa realtà, Kerry può fare tutte i viaggi che vuole: sarà come se restasse a casa sua.

(Da: Israel HaYom, israele.net, 9.7.13)