Onu: il rischio di un vergognoso spettacolo

Una pugnalata agli iraniani che si battono per la libertà, un crimine morale verso il popolo ebraico

di Sever Plocker

image_2613Il discorso del non-eletto presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad alle Nazioni Unite rappresenta in se stesso uno spettacolo vergognoso. A parte i suoi crimini contro gli stessi cittadini iraniani, dalla contraffazione delle elezioni all’uccisione dei manifestanti dell’opposizione, Ahmadinejad è ben noto per il fatto di dare costantemente voce a concezioni apertamente antisemite, considerate un vero e proprio reato in molti paesi civili.
Ahmadinejad non è solo un incallito negazionista della Shoà, che lui definisce “un mito”. Ahmadinejad ne ha addirittura fatto l’elemento centrale del suo messaggio, la base della sua visione del mondo mendace e deleteria. Agita la negazione della Shoà ad ogni possibile occasione, dalle riunioni a porte chiuse alle adunate di massa nelle piazze. La presenza dei rappresentanti ufficiali di stati civili durante il discorso all’Onu di Ahmadinejad, indipendentemente da ciò che esattamente egli intenda dire o sottacere, costituisce un colossale insulto morale.
I giorni fra il 22 e il 28 maggio 1940 furono cruciali per la seconda guerra mondiale in generale, e per la Gran Bretagna in particolare. IN quel periodo il gabinetto di guerra inglese prese la decisione storica di respingere qualunque negoziato, diretto o indiretto, con Hitler e di combattere la Germania nazista fino alla sua sconfitta. Nella riunione di gabinetto del 27 maggio il neo primo ministro britannico Winston Churchill (che entrato in carica da appena due settimane) usò l’immagine della “china scivolosa” per additare i pericoli che attendevano la Gran Bretagna se avesse ceduto alla tentazione di avviare colloqui con i nazisti.
Decisioni analogamente fatali furono prese dall’amministrazione del presidente americano Ronald Reagan in tutt’altra epoca. Reagan eccelleva negli attacchi verbali all’Unione Sovietica, non nascondeva la sua intenzione di schierare missili in Europa occidentale e allo stesso tempo ordinava ai militari Usa di studiare la fattibilità di lanciare nello spazio sistemi d’arma sofisticati, nel quadro del progetto “guerre stellari”. A quei tempi, gli anni 1982-1985, Guerre Stellari non era altro che un film di simulazione e una rappresentazione, ma Reagan si ostinò a non avviare negoziati sulla questione con i dirigenti sovietici. In una drammatica conferenza stampa spiegò la sua contrarietà: “I dirigenti sovietici hanno apertamente e pubblicamente dichiarato che la sola moralità che riconoscono è quella che fa progredire la loro causa, vale a dire che si riservano il diritto di commettere qualunque misfatto, di mentire, di imbrogliare pur di conseguire i loro obiettivi”. Ora, si sostituisca la parola “sovietico” con la parola “iraniano” e si avrà la ragione diplomatica decisiva per evitare contatti, colloqui e accordi con l’attuale regime iraniano.
Reagan, come Churchill, capiva che la democrazia non ha nulla da guadagnare dall’impegnarsi in colloqui conciliatori con una dittatura, indipendentemente dal tema dei colloqui. È una china scivolosa destinata a finire con uno schianto. Un boicottaggio diplomatico, politico e culturale – e anche nello sport, come quello guidato dal presidente Carter che convinse sessanta paesi a boicottare le Olimpiadi di Mosca del 1980 – incoraggia, invece, le forze dell’opposizione interna e avvicina la fine di una dittatura. Di tutte le dittature.
Anche solo per queste ragioni pratiche, basate su una lunga esperienza storica, l’occidente non dovrebbe imbastire favori per Ahmadinejad né imbarcarsi in alcun colloquio con il suo regime folle e tirannico: né colloqui diretti né colloqui indiretti; né colloqui sul programma nucleare né colloqui sul petrolio; né contatti né negoziati. Un completo boicottaggio unilaterale, sia all’interno che all’esterno delle Nazioni Unite.
Gli Stati Uniti di Barak Obama non possono rovesciare il regime di Tehran. Ma possono indebolirlo, delegittimarlo completamente e trasformare Ahmadinejad e i suoi soci in paria internazionali. È il castigo minimo che si meritano. Certamente non meritano d’essere premiati sottoforma di strette di mano con i massimi rappresentanti degli Stati Uniti, o con la silenziosa presenza di una delegazione americana durante il discorso di Ahmadinejad all’Onu per ragioni di “cortesia diplomatica”.
Qualcuno dovrebbe dirlo chiaro a Obama e ai suoi: oggi qualunque contatto, diretto o indiretto, con Ahmadinejad significa pugnalare alla schiena gli iraniani che si battono per la libertà nel loro paese, e costituisce un crimine morale verso il popolo ebraico.
Churchill e Reagan affrontarono decisioni che erano cruciali per il futuro dei loro paesi. Obama deve solo voltare le spalle a Ahmadinejad, il pagliaccio di Tehran, e dire: “Non parlo con te né con quelli come te; quando parli, io me ne vado”. Semplice, no?

(Da: YnetNews, 22.09.09)