Ora tocca ai palestinesi

Mai prima dora i palestinesi avevano avuto libertà e responsabilità di governo su una parte della terra.

Da un articolo di Ari Shavit

image_900Per un anno il disimpegno è stato un evento percepito prima di tutto come un fatto israeliano. E in effetti, il ritiro unilaterale dalla striscia di Gaza e dalla Cisgiordania nord-occidentale è stato un evento israeliano della massima importanza. Ha dimostrato che Israele è cresciuto e si è liberato dei paradigmi del passato. Ha dimostrato che Israele è deciso ad affrontare i problemi dell’occupazione anche se il conflitto non finisce. Ha dimostrato che Israele è capace di rispondere alla sfida posta dai coloni e dagli insediamenti. Ha dimostrato che lo Stato di Israele è guidato da una maggioranza sensata e consapevole, che è in grado di far rispettare la propria volontà a una minoranza estremista che si è fatta beffe della maggioranza per generazioni.
Ma ora, dopo che l’ultimo israeliano è tornato a casa, il disimpegno ha cessato di essere un evento israeliano. Ora, dopo la chiusura del cancello del valico di Kissufim, il disimpegno è diventato un evento palestinese. Il punto esclamativo messo da Ariel Sharon sui cancelli di Gaza è diventato un punto interrogativo palestinese senza precedenti. Il ritiro israeliano ha sgomberato un’arena in cui sta per andare in scena un fatidico dramma palestinese.
I palestinesi cercano di mettere in ombra questo fatto decisivo. Cercano di comportarsi come se non fosse successo nulla. Continuano a usare la vecchia retorica anacronistica, diventata così noiosamente familiare. Continuano a sostenere che il ritiro israeliano è incompleto e insufficiente. Continuano a dichiarare che la lotta proseguirà fino alla liberazione di ogni centimetro di Palestina. Peggio, dando alle fiamme le sinagoghe (abbandonate nella striscia di Gaza) e dando l’assalto alla Philadelphi Route (che segna il confine fra striscia di Gaza ed Egitto) indicano che non intendono comportarsi come uno stato responsabile.
Rifiutandosi di fare i conti con la loro minoranza estremista, dichiarano di non avere responsabilità sulle spalle. Dal loro punto di vista, ciò che era è ciò che continuerà ad essere: diplomazia e terrorismo, negoziati e violenza, un’autorità pragmatica e un’autorità di Hamas. La stessa figura a due teste e a due facce che hanno impersonato fino al disimpegno continuerà anche dopo il disimpegno. Come se il disimpegno non fosse mai avvenuto. Come se il disimpegno non costituisse una pietra miliare nella storia palestinese.
Questo oscuramento palestinese crea la necessità di chiarire la questione. Mai prima d’ora i palestinesi hanno governato su un pezzo di questa terra. Mai prima d’ora i palestinesi hanno vissuto diversamente che sotto un’occupazione. Così ora, in seguito al completamento del disimpegno, essi hanno conseguito qualcosa che non avevano mai avuto prima: dopo centinaia di anni di sottomissione ai governi stranieri dei turchi e degli inglesi, degli egiziani, dei giordani e degli israeliani, circa un milione e mezzo di palestinesi hanno finalmente conseguito l’autogoverno. Dopo centinaia di anni di soggezione, circa un milione e mezzo di palestinesi vivono ora, per la prima volta nella storia, senza posti di blocco, senza prigioni straniere, senza insediamenti e senza un governo d’occupazione. Paradossalmente, è stato Sharon che ha dato a così tanti palestinesi ciò che Haj Amin al-Husseini, Gamal Abdel Nasser e Yasser Arafat non avevano dato loro: la libertà.
Dunque questi giorni di settembre 2005 costituiscono momenti fondanti nella storia del popolo palestinese. Certo, la striscia di Gaza è stretta e amara. Certo, il territorio sgomberato nella Cisgiordania nord-occidentale non è contiguo. Ma, una volta completato il disimpegno, una significativa porzione del territorio palestinese in Cisgiordania e Gaza è ora privo di presenza israeliana. Una volta completato il disimpegno, una significativa porzione della popolazione palestinese vive ora senza le paure dell’occupazione israeliana. L’orizzonte è spalancato. Circa un milione e mezzo di palestinesi sono liberi di costruire un futuro per se stessi: di riabilitare la società palestinese, di edificare l’economia palestinese, di istituire gradualmente un libero stato palestinese.
Nessuno chiede ai palestinesi di rinunciare alla loro rivendicazione di liberare tutta la Cisgiordania. Nessuno si aspetta che rinuncino alla loro rivendicazione di piena sovranità e di fine completa dell’occupazione. Ma, proprio se vogliono progredire verso ulteriori ritiri israeliani, i palestinesi devono rapidamente cambiare spartito. Devono cambiare ethos. Passare dalle lamentele all’azione costruttiva. Dalla recriminazione alla costruzione. Devono mettersi alle spalle il loro atteggiamento da eterne vittime e iniziare ad agire come un soggetto politico maturo.
La libertà comporta responsabilità, anche quando è solo parziale. Ora, nel momento in cui hanno ricevuto una libertà che non hanno mai conosciuto prima, i palestinesi hanno anche delle responsabilità che finora non hanno mai avuto. I loro rapporti con Israele stanno cambiando. Non è più solo un rapporto fra occupante e occupato. Ecco perché i riflettori della storia sono puntati adesso su quei palestinesi che hanno iniziato ad avere nelle loro mani il proprio destino. Ecco perché tutti gli occhi sono ora puntati su “Gaza liberata”. Giacché ora la questione decisiva è quale sarà la scelta dei palestinesi. Se sceglieranno la vita, il diritto e il buon vicinato, non vi saranno limiti. Se sceglieranno la morte, il caos e il vittimismo, la strada per l’abisso sarà brevissima. Ma in ogni caso, i palestinesi non potranno dare la colpa a qualcun altro. La scelta è nelle loro mani. Dopo il disimpegno, sono i palestinesi che portano la principale responsabilità per il loro stesso destino, il loro futuro e le loro azioni.

(Da: Ha’aretz, 15.09.05)

Nella foto in alto: Una marcia dei Comitati di Resistenza Popolare palestinesi lunedì nell’ex villaggio israeliano di Netzarim (striscia di Gaza).