Parlar chiaro

Difficile promuovere la pace se non si indicano a chiare lettere gli ostacoli che la impediscono

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_1765(… Nel discorso di lunedì sera il presidente Usa George W. Bush ha detto che) ai palestinesi saranno garantiti ingenti incentivi economici e supervisione esterna per guidarli a fare le scelte giuste. Il che, peraltro, è come funzionano le cose sin dal 1993, e abbiamo visto tutti come si è messa la situazione. I palestinesi sono diventati più violenti ed estremisti mentre la soluzione due popoli-due stati sembra, sotto certi aspetti, più lontana che mai, nonostante il crescente sostegno che gode da parte israeliana.
È qui che Bush suggerisce di introdurre un elemento nuovo: i paesi arabi. Finora i paesi arabi non hanno pagato pegno. Israele e la comunità internazionale si sono addossati tutto il peso finanziario e diplomatico necessario per spingere i palestinesi verso scelte di pace, mentre i paesi arabi nel migliore dei casi se ne stavano seduti a guardare, nel peggiore permettevano che fiorisse l’istigazione all’intransigenza, all’estremismo, all’antisemitismo. “Gli stati arabi – ha detto Bush – hanno un ruolo centrale da svolgere… Devono sostenere senza ambiguità il governo del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e devono respingere gli estremisti violenti di Hamas… I paesi arabi devono prendere parte attiva nel promuovere negoziati di pace. Rilanciare l’iniziativa della Lega Araba è stato un primo passo positivo. Ora i paesi arabi devono ampliare l’iniziativa, ponendo fine alla finzione che Israele non esista, fermando l’istigazione all’odio nei loro mass-media ufficiali, mandando membri dei loro governi in visita ufficiale in Israele. Con queste misure, i leader arabi di oggi possono dimostrare di essere costruttori di pace dello stesso livello di Anwar Sadat e di re Hussein di Giordania”.
È uno stimolo nuovo e importante, lanciato nella giusta direzione: non si deve permettere che passi inosservato come una nota a margine del discorso. I paesi arabi possono fare molto di più, e gli Stati Uniti dovranno ripetere questo concetto al summit regionale che Bush ha indetto per il prossimo autunno
Bush ha poi detto che Israele “deve aver fiducia che gli Stati Uniti non abbandoneranno mai il loro impegno per la sicurezza di Israele come stato ebraico e patria del popolo ebraico”. È una frase in codice: significa che gli Stati Uniti si oppongono al cosiddetto “diritto al ritorno” dei palestinesi dentro Israele anziché nel futuro stato di Palestina. Va bene, ma perché parlare in codice? Perché non dirlo chiaramente? E, cosa ancora più importante, perché non chiedere agli stati arabi che sostengono di appoggiare la pace di dirlo altrettanto chiaramente?
È difficile promuovere la pace se non si indicano a chiare lettere gli ostacoli che la impediscono. Non c’è ostacolo più grande alla pace della pretesa palestinese di sopraffare demograficamente Israele, un chiaro tentativo surrettizio di distruggere Israele negandogli ancora una volta il diritto di esistere in quanto tale. L’abbandono di questa pretesa è l’equivalente palestinese dell’accettazione da parte israeliana di uno stato palestinese: insieme, sono le due condizioni ‘sine qua non’ per realizzare la soluzione due popoli-due stati.
Tuttavia, mentre non c’è alcun ritegno nel fare pressione su Israele a favore dell’indipendenza palestinese, pressione che si è dimostrata drammaticamente efficace, dall’altra parte l’occidente e persino gli Stati Uniti sono ancora fermi al linguaggio cifrato quando si tratta del cosiddetto “diritto al ritorno”. È ora di cambiare.
Il miglior modo con cui Stati Uniti, Europa e paesi arabi possono aiutare i palestinesi a rifuggire dalla loro spirale estremista è quello di togliere aria al loro sogno estremista di cancellare Israele. Cosa che può essere fatta dicendo esplicitamente e una volta per tutte che la soluzione del problema dei profughi sta in Palestina e nei paesi arabi, non in Israele.

(Da: Jerusalem Post, 17.07.07)

Nell’immagine in alto: Il progetto di “palestinizzare” tutto Israele attraverso il cosiddetto “diritto al ritorno” e all’invasione demografica è esplicito nella propaganda araba e palestinese ad ogni livello. Nell’esempio, da un sito web: tutto Israele è invaso dai colori della bandiera palestinese