Partner di pace solo con se stessi?

Esistono numerosi gruppi che promuovono uno strano genere di “coesistenza unilaterale”.

Di Seth J. Frantzman

image_2944La notizia tragicomica che i due più influenti politici dell’Autorità Palestinese hanno ritirato la loro adesione ad una campagna “per la coesistenza”, finanziata dagli americani, volta a sollecitare l’israeliano della strada a riconoscere in loro i veri “partner” per la pace, non stupisce più di tanto giacché rientra nel più ampio quadro fallimentare di questo genere di malaccorti progetti “per la coesistenza”.
In quest’ultimo caso le cose sono andate così. Sullo sfondo della ripresa dei colloqui di pace diretti attualmente in corso, la USAID – un’agenzia governativa americana per aiuti umanitari ed economici – ha finanziato una campagna concepita dal gruppo “Iniziativa di Ginevra”, volta a spingere gli israeliani a sostenere il processo di pace. La campagna ha prodotto video-clip di 30 secondi nei quali il negoziatore palestinese Saeb Erekat chiede agli israeliani “siete miei partner?”, ed ha acquistato 280 spazi pubblicitari un po’ in tutto Israele. Modellati sulla falsariga delle “richieste di amicizia” su Facebook, gli affissi mostrano il volto di vari esponenti palestinesi che chiedono all’israeliano della strada di accettare la loro “offerta di partnership”.
Lo scorso 7 settembre è stata data notizia che il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e il primo ministro palestinese Salam Fayyad hanno chiesto di non essere coinvolti in questa campagna sui “partner della pace” perché “troppo israeliana”. Fayyad ha lamentato il fatto che il gruppo Iniziativa di Ginevra non gli aveva chiesto il consenso per l’utilizzo della sua immagine nella campagna; stando al reporter Avi Issacharoff, Fayyad “ha anche sottolineato che non gli era chiaro come mai la campagna non comprendesse anche immagini di esponenti israeliani rivolti al pubblico palestinese“. Una domanda che in effetti si sono posti in molti. Dove sono, a Ramallah e a Nablus (in Cisgiordania) i cartelloni con Binyamin Netanyahu e Ehud Barak che chiedono ai palestinesi di farsi partner di pace con gli israeliani?
In realtà questa vicenda dell’iniziativa dei “partner di pace”, che tanto per cominciare non avrebbe dovuto essere finanziata dal governo americano, non è che un caso nel più ampio quadro delle campagne per la “coesistenza”. Esistono infatti numerosi gruppi “per la coesistenza” che cercano di promuovere uno strano genere di coesistenza unilaterale. Un elenco compilato dal sito internet engageonline.org.uk documenta bene questo fatto.
In testa alla lista, l’Abraham Fund. Le sei “iniziative” sfoggiate nella sua home-page contemplano l’insegnamento dell’arabo in scuole ebraiche, gli sforzi per promuovere pari opportunità per i cittadini arabi d’Israele, la “promozione dell’impiego e dell’integrazione delle donne arabe nella forza lavoro”. Una quarta iniziativa mira ad agire sulle relazioni fra polizia e comunità araba israeliana. Questa quarta iniziativa sembrerebbe leggermente più in linea col concetto di coesistenza, ma a ben vedere tutto l’onere viene posto sul lato dei poliziotti, incoraggiati ad esempio a studiare “la cultura araba”. Il programma non sembra comprendere nessun tipo di intervento sui giovani della comunità araba, incoraggiandoli ad esempio a cooperare con i poliziotti anziché accoglierli regolarmente a sassate.
Il Negev Coexistence Forum è il più evidente esempio di nazionalismo unilaterale mascherato da coesistenza. Fondato nel 1997, offre tour guidati delle comunità beduine e fa pressione a livello internazionale a nome dei beduini, inviando delegazioni in luoghi come le Nazioni Unite per ottenere il loro riconoscimento come “popolazione indigena”. Afferma inoltre di operare nei villaggi abusivi dei beduini del Negev, occupandosi di asili, strade, forniture idriche. Offre anche assistenza legale. Cos’ha a che fare tutto questo con la “coesistenza” arabo-ebraica? Non è prevista nessuna attività a favore, tanto per dire, delle comunità più povere di ebrei nel Negev. Tutte le iniziative sono a vantaggio di un gruppo soltanto, e sono tutte attività volte a premiare i comportamenti illegali di quel gruppo, e ad incoraggiare al suo interno la crescita di un nazionalismo sempre più acceso. Tutto bene: ma perché chiamarsi Forum del Negev per la Coesistenza? Perché non chiamarsi più onestamente Forum del Negev per i Beduini?
Quasi tutte le iniziative per la coesistenza, in Israele e territori palestinesi, cadono ad un livello basilare: in pratica, vige l’aperto riconoscimento del fatto che le iniziate e le attività che i gruppi per la coesistenza desiderano promuovere, presso una delle comunità sono semplicemente improponibili; ragion per cui finisce che tutte le iniziative sono rivolte soltanto alla parte ebraica, mentre l’altra parte ne resta bellamente all’oscuro.
In alcuni casi l’attività per la coesistenza sembra sortire addirittura il risultato opposto: accettando di lavorare e premere su una parte soltanto, il gruppo per la coesistenza si trasforma in realtà nel portavoce di nazionalismo ed irredentismo, promuovendo la causa dei settori più estremisti fra i beduini e gli arabi-israeliani, ad esempio con il cosiddetto “insegnamento della Naqba” o l’opera di “lobby” a loro esclusivo vantaggio presso gli organismi delle Nazioni Unite.
Vi sono alcune, poche iniziative che sembrano andare in una direzione più onesta. Un esempio è dato da un circolo di donne, ispirato dal gruppo Iniziativa di Ginevra, che vede operare insieme donne affiliate al partito religioso tradizionalista sefardita Shas e donne di primo piano in campo palestinese; così come il programma Seeds of Peace (semi di pace) che ha riunito israeliani e palestinesi organizzano soggiorni congiunti in campi estivi comuni all’estero.
Ma la costosa campagna di affissi sui partner della pace resta fondamentalmente un fiasco: è esattamente il genere di cose che non aiuta per nulla a promuovere la pace. All’ingresso di Ramallah l’insegna più in vista è un grande murale con Marwan Barghouti, attualmente all’ergastolo per assassinio di civili israeliani, e Yasser Arafat. Nessuno metterà accanto a quel murale un affisso col primo ministro israeliano che offre la pace ai palestinesi, e questo sintetizza bene un dato di fatto: la pace potrà anche arrivare, ma la coesistenza certamente non è alle viste.

(Da: Jerusalem Post, 21.9.10)

Nella foto in alto: Seth J. Frantzman, autore di questo articolo