Per ottime ragioni

Netanyahu, come la maggior parte degli israeliani, preferirebbe una soluzione a due stati, ma non la ritiene possibile nelle attuali circostanze

Di David M. Weinberg

David M. Weinberg, autore di questo articolo

David M. Weinberg, autore di questo articolo

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha scatenato una cacofonia globale di ciance e recriminazioni quando, verso la fine della campagna elettorale, ha affermato che non vede la nascita di uno stato palestinese come una prospettiva realistica o possibile negli anni del suo prossimo mandato.

Sebbene Netanyahu abbia evidentemente fatto queste osservazioni all’apice di una combattutissima campagna elettorale nello sforzo di guadagnare al Likud i voti della destra, di fatto tuttavia ha espresso in modo probabilmente fedele la sua visione di come stanno le cose.

Netanyahu, come la maggior parte degli israeliani, preferirebbe una soluzione a due stati che portasse chiarezza sulla questione dei confini, stabilità generale e migliore qualità della vita per israeliani e palestinesi. Tuttavia, dati i precedenti dei capi palestinesi che hanno sempre coerentemente rifiutato i compromessi di pace di ampia portata avanzati in buona fede da successivi governi israeliani sia di destra che di sinistra, la maggior parte degli israeliani semplicemente non crede che sia in vista un compromesso realistico con i palestinesi.

Di più. Nelle circostanze attuali, ulteriori ritiri israeliani rischierebbero di portare alla nascita di un secondo “Hamastan” in Cisgiordania, dopo quello di Gaza (o peggio, a un regime del tipo Stato islamico-ISIS), certo non una realtà stabile e pacifica.

Al netto del voto arabo e ultra-ortodosso, alle ultime elezioni israeliane un elettore sionista su tre ha optato per il Likud, il che significa che Netanyahu esprime in modo accurato il punto di vista dell’israeliano medio. E l’atteggiamento prevalente dell’israeliano medio è realistico e prudente.

“Uno stato palestinese che riconosce I diritti delle minoranze? Che mette fine alla retorica antisemita e al sostegno al terrorismo anti-israeliano? Che vive in pace fianco a fianco con lo stato ebraico? Si chiamerà Fantasilandia”

Per buone ragioni, scaturite dall’amara esperienza, gli israeliani diffidano delle intenzioni dei palestinesi. Per ottime ragioni, gli israeliani tengono d’occhio con molta attenzione gli eserciti di terroristi islamisti accampati alle frontiere dello stato ebraico. E per ragioni di cristallina evidenza, gli israeliani sono sospettosi e risentiti verso la Casa Bianca di Barack Obama.

E’ un processo iniziato sin dalla guerra stragista palestinese scatenata contro Israele negli anni 2000-2004 (la “seconda intifada”); dal rifiuto – almeno tre volte negli ultimi 15 anni – da parte di Yasser Arafat e Mahmoud Abbas (Abu Mazen) delle accettabilissime proposte di pace israeliane; dall’emergere di enclave a controllo iraniano sui confini nord e sud di Israele a seguito dei ritiri di Israele dal Libano meridionale e dalla striscia di Gaza; dalla decisione di Obama di non ricomporre le “incrinature” nelle relazioni Usa-Israele mentre si affretta verso una partnership strategica con l’Iran, l’acerrimo nemico di Israele.

In realtà il concorrente di Netanyahu, Isaac Herzog, non avrebbe avuto più probabilità di Netanyahu di realizzare la costituzione di uno stato palestinese pienamente sovrano nel corso dei prossimi due o tre anni. Netanyahu l’ha solo affermato esplicitamente.

(Da: Israel HaYom, 20.3.15)

«Nella mia visione della pace, in questo nostro piccolo paese due popoli vivranno liberamente, fianco a fianco, in amicizia e rispetto reciproco. Ognuno avrà la propria bandiera, il proprio inno nazionale, il proprio governo. Nessuno dei due minaccerà la sicurezza o la sopravvivenza dell’altro. […] Questi sono i principi che guidano la nostra politica, una politica che deve tener conto della situazione internazionale che si è sviluppata di recente: dobbiamo riconoscere questa realtà e allo stesso tempo attenerci saldamente ai principi essenziali per Israele. Ho già sottolineato il primo principio: il riconoscimento. I palestinesi devono riconoscere Israele chiaramente e senza ambiguità come lo stato del popolo ebraico. Il secondo principio è la smilitarizzazione. Il territorio sotto il controllo palestinese deve essere smilitarizzato con disposizioni di sicurezza ferree. Senza queste due condizioni, c’è il reale pericolo che uno stato palestinese armato finisca col diventare un’altra base terroristica contro lo stato ebraico, come a Gaza. Noi non vogliamo razzi Qassam su Petach Tikva, razzi Grad su Tel Aviv né missili sull’aeroporto Ben-Gurion. Noi vogliamo la pace. Per avere la pace bisogna fare in modo che i palestinesi non possano importare missili, schierare un esercito, chiuderci il loro spazio aereo, stringere alleanze con gente come Hezbollah e Iran. Su questi punti c’è ampio consenso all’interno di Israele. È impossibile aspettarsi che noi accettiamo in anticipo il concetto di uno stato palestinese senza la garanzia che questo stato sarà smilitarizzato. Su una questione così cruciale per l’esistenza d’Israele, bisogna innanzitutto rispondere alle nostre esigenze di sicurezza. Senza di questo, prima o poi quei territori diventeranno un’altra Hamastan, e questo non lo possiamo accettare. Se avremo garanzie in merito alla smilitarizzazione e alle esigenze di sicurezza di Israele, se i palestinesi riconosceranno Israele come lo stato nazionale del popolo ebraico, allora saremo pronti in un futuro accordo di pace ad arrivare a una soluzione che veda uno stato palestinese smilitarizzato accanto allo stato ebraico.» (Benjamin Netanyahu, discorso all’Università Bar Ilan, 14 giugno 2009)

«Penso che chi oggi si adopera per stabilire uno stato palestinese e sgomberare territori consegna all’estremismo islamista un territorio da cui attaccare lo stato di Israele. Questa è la vera realtà che si è creata negli ultimi anni. Chi la ignora non fa che mettere la testa nella sabbia». Alla domanda diretta se, dunque, uno stato palestinese non potrebbe nascere durante il suo eventuale prossimo mandato come primo ministro, Netanyahu ha risposto: «E’ così». (Benjamin Netanyahu, intervista a Maariv, 16 marzo 2015)

«Non voglio una soluzione a un solo stato. Voglio una soluzione a due stati pacifica e sostenibile. Ma per far questo, le circostanze devono cambiare. Non ho cambiato la mia politica. Non ho mai ritrattato il mio discorso di sei anni fa alla Bar-Ilan University a favore di uno stato palestinese smilitarizzato che riconosca uno stato ebraico. Quella che è cambiata è la realtà delle cose. Il presidente palestinese Abu Mazen si rifiuta di riconoscere lo stato ebraico e ha stretto un patto con Hamas, che invoca la distruzione dello stato ebraico. Intanto tutti i territori che vengono sgomberati, oggi, in Medio Oriente, vengono occupati da forze islamiste. Noi vogliamo che questa situazione cambi in modo da poter realizzare la prospettiva di una pace vera e sostenibile.» (Benjamin Netanyahu intervista alla NBC, 19 marzo 2015)

“Quello che ho detto è che è irrealizzabile nelle attuali circostanze. Avevo indicato molto chiaramente quali sono le condizioni necessarie per una soluzione a due stati, nel mio discorso alla Bar-Ilan University del 2009, e non ho cambiato posizione: non ho affatto ritrattato quel discorso. Quello che ho detto è che l’attuazione di quella prospettiva non è possibile in questo momento [vista] la decisione della dirigenza dell’Autorità Palestinese lo scorso anno di stringere un patto con Hamas e i recenti sconvolgimenti in Medio Oriente come la guerra civile in Siria, l’ascesa dell’ISIS ed anche il controllo iraniano su Gaza. Non voglio una soluzione a un unico stato, ma certamente non voglio nemmeno una soluzione senza stato ebraico perché l’esistenza stessa di Israele sarebbe compromessa. Il problema cruciale non è solo dove saranno i confini, ma cosa vi sarà dall’altra parte di quei confini. Dobbiamo ritirarci perché si insedino islamisti sostenuti dall’Iran come è accaduto a Gaza, come è accaduto in Libano e come sta accadendo in altre parti del Medio Oriente?”. (Benjamin Netanyahu, intervista a NPR, 20 marzo 2015)

Si veda anche:

Netanyahu: “Sì a uno stato palestinese smilitarizzato”

L’isterica reazione palestinese al discorso di Netanyahu

Netanyahu: «Aspetto un “discorso di Bar-Ilan” da parte di Abu Mazen»