Per un cessate il fuoco davvero utile

Dare ai terroristi giusto il tempo per riarmarsi potrebbe essere davvero molto peggio che inutile

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_1468Difficile dissentire da un cessate il fuoco. Le armi tacciono, la guerra è scongiurata, entrambe le parti possono tirare il fiato e tornare alla propria vita. Cosa c’è che non va?
Noi vorremmo con tutto il cuore che le cose fossero così semplici, e che Israele potesse semplicemente permettersi di felicitarsi con il primo ministro israeliano Ehud Olmert e il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) per aver concordato un “cessate il fuoco”.
Il supposto stop alle violenze potrebbe effettivamente trasformarsi in un reale cambiamento di sostanza. Ciò che occorre, però, è che si facciano i conti con il contesto fondamentale dello scontro. Se invece questo non accade – e per ora non vi sono segni che stia accadendo – allora un cessate il fuoco, anche se tiene, può trasformarsi sul medio-lungo periodo in qualcosa di peggio dello status quo.
Innanzitutto, tuttavia, il cessate il fuoco per ora non si può dire che stia veramente tenendo. Non solo sabato, nelle ore immediatamente precedenti la sua entrata in vigore, ma anche domenica mattina, dopo che era scoccata l’ora della presunta tregua, missili Qassam palestinesi hanno continuato a cadere su Israele. Hamas ha persino rivendicato la responsabilità di alcuni di questi lanci, sostenendo che Israele avrebbe violato il cessate il fuoco con le sue operazioni anti-terrorismo in Cisgiordania. Israele sostiene che l’accordo riguarda la sospensione dei lanci di Qassam in cambio del ritiro delle truppe israeliane dalla striscia di Gaza e solo da quella. Il motivo per cui Israele insiste su questo punto è chiarissimo. Non più tardi di venerdì notte un’operazione delle Forze di Difesa israeliane ha portato alla scoperta e distruzione di un’officina di bombe a Nablus. I soldati hanno scoperto non solo cinture esplosive da attentato suicida, ma persino giocattoli per bambini, come animaletti di peluche, imbottiti di esplosivo.
In queste circostanze non ci vuole un chiaroveggente per prevedere che il cessate il fuoco verrà usato dai terroristi per recuperare le forze dopo i colpi subiti dalle Forze di Difesa israeliane. Come può servire alla causa della pace concedere ai terroristi una pausa per riprendersi? Di per sé non può. Ma c’è un modo per far sì che il cessate il fuoco diventi parte di una più generale politica capace di diminuire veramente le probabilità di un nuovo bagno di sangue.
Per fermare il terrorismo, Israele deve affrontare sia le capacità dei terroristi sia il loro ambiente strategico. Un cessate il fuoco ha poco senso se il confine fra Egitto e striscia di Gaza rimane la strada maestra del costante flusso di armi verso Hamas e altri gruppi terroristici. Chiaramente in queste condizioni qualunque time-out non fa che spianare la strada a una ripresa ancora più intensa delle violenze.
Il ministro della difesa israeliano Amir Peretz ha giustamente criticato la miopia di coloro che, prima di lui, permisero che Hezbollah trasformasse il Libano meridionale in un’enorme base di lancio per missili e razzi contro Israele. Ma altri responsabili della sicurezza, come il ministro degli interni Avi Dichter e il capo dello Shin Bet Yuval Diskin, da mesi avvertono che questo è esattamente ciò che sta accadendo a Gaza.
Un cessate il fuoco che non affronti la necessità che l’Egitto metta sotto controllo il suo confine non farà che esacerbare il problema. Non solo le armi continueranno ad affluire, ma non ci saranno più le operazioni militari israeliane tese a cercare e distruggere le officine di ordigni e altre strutture della rete terroristica. I gruppi terroristici potranno ampliare i loro preparativi per la loro prossima aggressione senza nemmeno essere disturbati dalle Forze di Difesa israeliane.
Sigillare il confine cambierebbe le cose, incrementando la pressione per una vera pace. Ma anche questo non sarebbe abbastanza. È anche necessario spezzare il circolo vizioso della diplomazia intenzionale che crea un continuo incentivo ad aggredire Israele. Un circolo vizioso ben noto: i palestinesi attaccano, Israele risponde e, prima o poi, inevitabilmente Israele uccide per errore dei civili palestinesi; a questo punto il Consiglio di Sicurezza dell’Onu condanna Israele (con o senza il veto Usa) realizzando esattamente il proposito dei terroristi di isolare Israele sempre di più. Questo automatismo che porta alla condanna di chi ha subito l’aggressione premia attivamente il terrorismo, come ha ben sottolineato l’ambasciatore d’Israele all’Onu Dan Gillerman durante il recente dibattito in Assemblea Generale su una risoluzione smaccatamente anti-israeliana.
La risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza ha molti difetti. Tra questi la mancanza di meccanismi per il monitoraggio e l’applicazione dell’embargo che dovrebbe esser imposto contro il traffico di armi a favore di Hezbollah. Ma se non altro offre l’abbozzo di un modello per spezzare questo circolo vizioso, dal momento che attribuisce chiaramente a Hezbollah la responsabilità per aver provocato la guerra con la sua aggressione oltre confine del 12 luglio, e – almeno in teoria – impone alla Siria il dovere di far cessare il flusso di armi verso Hezbollah.
Lo stesso dovere dovrebbe essere imposto all’Egitto, perché faccia cessare il traffico di armi verso la striscia di Gaza. Inoltre, anziché affrettarsi a condannare Israele, l’Onu e il Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu) dovrebbero assicurarsi che i palestinesi paghino un pesante prezzo diplomatico ogni volta che lanciano attacchi contro Israele, rilanciando la conflittualità.
Un cessate il fuoco concepito per promuovere questi mutamenti nell’ambiente strategico in cui si muovono i terroristi sarebbe degno del nome. In caso contrario, dare ai terroristi – in evidente difficoltà – giusto il tempo e il respiro di cui hanno bisogno per riorganizzarsi e riarmarsi potrebbe essere davvero molto peggio che inutile.

(Da: Jerusalem Post, 27.11.06)

Nella foto in alto: Uno dei giocattoli di peluche imbottiti di esplosivo trivati dai soldati israeliani in un’officina di bombe palestinese venerdì scorso a Nablus.