Perché i Goldstone e i Bostrom si bevono le falsità anti-israeliane?

Gli antisemiti occidentali non scrivono i nuovi Protocolli, pensano solo che sia loro dovere divulgarli

di Yair Lapid

image_2648Lunedì, al congresso di Dimona sui mass-media, dovrei intervistare Donald Bostrom. O forse dovrei piuttosto salire sul palco e dargli un pugno in faccia?
Bostrom è il giornalista svedese che ha pubblicato il famigerato articolo in cui si accusavano le Forze di Difesa israeliane di rubare organi dai cadaveri palestinesi. Abbiamo a che fare, naturalmente, con una “calunnia del sangue” della peggiore specie. Ma Bostrom, che non ha mai visto questi cadaveri e non è stato in grado di fornire nessuna prova a sostegno del suo servizio a parte una manciata di dicerie palestinesi del tutto incontrollate, sostiene ancora che la faccenda andrebbe indagata. Nel momento stesso in cui viene a galla una storia come questa, dice, la stampa ha il dovere di pubblicarla. E ora mi è stato assegnato l’ingrato compito di spiegare a Bostrom che evidentemente non capisce nulla di come funziona la stampa, specie in tempo di guerra.
Secondo Bostrom, libertà di espressione significa che quando qualcuno racconta una panzana, il giornalista non ha il dovere di andare a controllarne la veridicità, quanto piuttosto quello di pubblicare la panzana “in modo equilibrato” (cioè accostata a una debole smentita che non convince nessuno). I giornalisti come Bostrom non mentono mai: si limitano a riportare in modo veritiero ciò che i mentitori vanno raccontando.
Il servizio pubblicato da Bostrom, se ci calmiamo un momento e cerchiamo di leggerlo con obiettività, nasce in fondo da un difetto di conoscenza: in Israele, per legge, chiunque sia colpito dal fuoco delle forze armate viene sottoposto ad autopsia. Paradossalmente questa procedura rientra nel nostro sforzo di cercare la verità. Quando i vari Bostrom di tutto il mondo ci interpellano, vogliamo poter fornire risposte accurate: chi ha ucciso chi? In quali circostanze? Quando?
Ma i palestinesi, quando hanno visto i corpi con i segni delle suture, non hanno capito. Perché mai si dovrebbero eseguire delle autopsie? – si sono domandati. È stato colpito da un proiettile ed è morto, che altro c’è da sapere? Così hanno iniziato a mettere in circolazione delle chiacchiere, e i press-agent di Hamas hanno spacciato la storia ai mass-media globali, e Bostrom se l’è bevuta.
Infatti, da Goldstone fino a Bostrom, lo stato di Israele viene ripetutamente bastonato, sempre nello stesso modo: i palestinesi raccontano balle. Loro hanno capito molto prima di noi che la guerra non si combatte solo per le strade di Gaza, ma anche su milioni di teleschermi. Dal loro punto di vista, se noi abbiamo il diritto di usare le bombe al fosforo, allora loro hanno il diritto di usare le menzogne. Si tratterebbe della classica arma dei deboli: economica, efficace, senza rischi e – ammettiamolo – assai dolorosa.
Dunque Bostrom è un antisemita? Certo che lo è. Ma sa di essere un antisemita? Questa è un’altra faccenda. Tendo a pensare che se lo collegassimo ai fili di una “macchina della verità” e gli chiedessimo se odia gli ebrei, gli aghi non si muoverebbero affatto. Bostrom non ci odia; semplicemente pensa che siamo diversi. Difficile fargliene una colpa. Il concetto che siamo diversi è nato innanzitutto da noi stessi. Se per duemila anni ti vesti in modo diverso, credi a un Dio diverso, celebri festività diverse e soprattutto insisti a dire a tutti che sei diverso, alla fine ti crederanno. Il problema è che si tratta di un’arma a doppio taglio. Quando diciamo che siamo diversi, non intendiamo dire che siamo peggiori degli altri. Benissimo, ma non è così che funziona la natura umana. Gli esseri umani tendono sempre a preferire quelli più simili a loro e, ciò che è peggio, a proposito degli altri sono sempre pronti a prender per vere cose che non crederebbero mai se riferite a se stessi. Sono diversi, questi ebrei, dunque da loro tutto è possibile. Possono essere così intelligenti d’aver scoperto il mistero dei ribosomi, e possono essere così cinici d’aver creato gli hedge-fund e aver rubato 50 miliardi di dollari; e possono essere così crudeli da depredare organi ai cadaveri. Non puoi mai sapere, dopo tutto non si sa cosa passi in quella loro mente diversa.
E l’aspetto più penoso è che ci hanno messo nella stessa categoria di quelli che raccontano panzane. Tutti noi preferiamo classificare la gente, perché è più comodo. Qual è la differenza fra svedesi e norvegesi, ad esempio? Alcuni dei miei migliori amici sono biondi, ma è difficile dire chi è che cosa? E, dalle nostre parti, chi sa distinguere un giapponese da un coreano? Un hutu da un tutsi? Un boliviano da un paraguaiano? Eppure sono tutte nazioni che si sono combattute ferocemente in guerre molto più sanguinose di quella fra noi e i palestinesi, guerre che sono durate molti anni e hanno fatto milioni di morti. In totale, i palestinesi rimasti uccisi in sessantadue anni di conflitto israelo-palestinese sono settemila: l’equivalente di un giorno nella Chaco Valley in Bolivia, o di due ore nelle stragi del Ruanda. Ma, così come noi non distinguiamo loro, loro non distinguono noi. Visti dalla gelida Stoccolma, in un mondo di mille canali televisivi, tutti noi sembriamo uguali: un po’ scuri di pelle, sudati, che ci spariamo addosso a vicenda. La storia raccontata da Bostrom, dal suo punto di vista, non riguarda ebrei e arabi: riguarda un posto infernale dove tutti si comportano come animali. Il suo antisemitismo non nasce dal pregiudizio, ma dall’ignoranza.
I nuovi antisemiti esentano se stessi dall’obbligo di indagare i fatti. Per loro, noi non siamo niente più che una “storia”. La raccontano non perché siano assolutamente certi che sia vera, ma perché non capiscono che non potrebbe essere in alcun modo vera. Dicono a se stessi “forse”, parlando di un posto (Israele) dove un forse di questo genere non esiste nemmeno. Dicono “potrebbe essere”, parlando di un luogo dove non esiste alcuna possibilità di questo tipo. Non scrivono la nuova versione dei Protocolli dei Savi di Sion, semplicemente pensano che sia loro dovere di giornalisti leggere le nuove versioni dei Protocolli e pubblicarle.
Bostrom non disdegna la possibilità che noi si commetta crimini nazisti perché è totalmente incapace di capire che Israele è una democrazia occidentale aperta, che si batte per la propria sopravvivenza dentro un pezzo di barbaro oriente. È totalmente incapace di distinguere fra l’etica ebraica e la totale mancanza di etica dell’estremismo islamista; non è in grado di vedere la differenza fra il governo del diritto che vige in Israele e il governo dell’odio che domina i nostri nemici; non è capace di vedere la differenza fra uno stato che istituisce la commissione Winograd (sulla seconda guerra in Libano) e indaga costantemente su se stesso, e un gruppo terrorista che non si ferma davanti a niente e che si arroga il diritto di mentire senza tregua pur di infangare la nostra immagine nel mondo.
Non intendo in alcun modo sostenere che tutto ciò che fa Israele nei territori sia appropriato e giusto. Ho pensato, e scritto in tempo reale, che l’uccisione di bambini a Gaza durante l’operazione anti-Hamas era immorale e forse anche imperdonabile. Ma c’è comunque una differenza – una grande, fondamentale, inconfutabile differenza – fra i tragici errori che accadono in guerra e l’indiscriminata spietatezza dell’estremismo islamista.
In fin dei conti la differenza fra noi e loro si può sintetizzare in due semplici frasi: noi avremmo la possibilità tecnica di cancellarli dalla faccia della terra, ma non lo faremmo mai; loro non hanno la forza di ucciderci tutti ma, se potessero farlo, lo farebbero senza pensarci due volte.
E allora, cosa dirò a Donald Bostrom? Gli dirò che è un antisemita.

(Da: YnetNews, 25.10.09)

Nella foto in alto: Yair Lapid, autore di questo articolo