Perché i paesi del Golfo si inchinano a Teheran

I segnali di disimpegno occidentale espongono i sunniti alla potenza iraniana

Da un articolo di Yaakov Lappin

image_1942È stata una grande settimana, per Mahmoud Ahmadinejad. Per la prima volta nella sua vita, il presidente iraniano si è unito a milioni di altri musulmani in Arabia Saudita per l’annuale Hajj, il pellegrinaggio alla Mecca. Sui mass-media di tutto il mondo sono apparse le immagini di un Ahmadinejad serio e insolitamente azzimato, intento a consultare il Corano prima di imbarcarsi sul suo aereo per l’Arabia Saudita. Ma non si tratta di una semplice faccenda di pellegrinaggi.
Ahmadinejad è il leader della repubblica islamica sciita, un paese che negli anni scorsi ha scosso l’intero Medio Oriente e messo paura ai vicini sunniti con la sua spinta verso la superiorità politica e religiosa sciita. Spinta che è accompagnata da un paziente lavoro sul programma nucleare e da ingegnose e ingannevoli tattiche volte a guadagnare tempo e tenere a bada i critici occidentali.
L’Arabia Saudita, paese leader del blocco sunnita, è uno degli intimoriti vicini dll’Iran. Eppure è stato proprio il re saudita Abdullah che ha fatto il sorprendente gesto amichevole di invitare Ahmadinejad alla Mecca per il pellegrinaggio.
Anche da un punto di vista puramente religioso sunnita, l’invito a un leader sciita per il Hajj è una notizia notevole. Gli sciiti vengono considerati da molti religiosi sunniti alla stregua di infedeli. È facile trovare prova di questo odio, soprattutto se si vanno a vedere le sentenze religiose che arrivano dall’Arabia Saudita. L’anno scorso una fatwa dello sceicco saudita Abdel-Rahman al-Barrak stabiliva che gli sciiti “nella loro interezza sono la peggiore delle sette della nazione islamica. Hanno tutte le caratteristiche degli infedeli. Sono in verità infedeli politeisti, anche se lo nascondono”.
Per lungo tempo gli sciiti sono stati rifiutati dai sunniti. Lo scisma risale ai tempi delle origini dell’islam, quando due campi si combattevano per il diritto alla successione di Maometto. Alla fine, il gruppo che sarebbe diventato sunnita massacrò Hussein, il martire degli sciiti, insieme al suo esercito, in una grande battaglia a Karbala (nell’odierno Iraq).
Gli sciiti non dimenticheranno mai quel giorno, custodito nella loro memoria collettiva e rivissuto ogni anno nelle celebrazioni della Ashura. Ma gli sciiti non hanno rinunciato a cercare di riprendersi ciò che considerano il loro diritto al trono del mondo islamico. Armato di spada e sorriso, l’Iran avanza offerte che i suoi impauriti vicini sunniti non possono rifiutare. “Proponiamo la creazione di convenzioni e istituzioni economiche e di sicurezza fra i sette stati”, ha dichiarato Ahmadinejad, ai primi di dicembre, al summit del Consiglio di Cooperazione del Golfo. L’Iran, ha detto, vuole un assetto regionale che sia libero da “influenze straniere”.
Come nel caso del pellegrinaggio, la presenza dell’Iran in questo evento segna un grande cambiamento. Rappresenta un ulteriore segnale della inquietante ascesa dell’Iran. Questi inviti costituiscono cenni di riconoscimento da parte degli stati sunniti rispetto alla minacciosa presenza iraniana e al suo crescente potere.
Il fatto che l’Iran sia stato invitato al summit del Consiglio di Cooperazione del Golfo subito dopo la diffusione del rapporto americano National Intelligence Estimate, secondo cui la Repubblica Islamica avrebbe sospeso il programma nucleare militare nel 2003, non è una coincidenza. Il rapporto viene visto come un segnale del disimpegno americano, una falla irreparabile nel processo che avrebbe dovuto portare al rafforzamento delle sanzioni Onu all’Iran. Mentre questo processo fa a picco, l’altro, quello verso l’opzione militare Usa rispetto all’Iran, fa totale marcia indietro agli occhi degli stati del Golfo.
E così Ahmadinejad diventa una star del Golfo, invitato in conferenze e pellegrinaggi a cui altri leader iraniani non si sognavano nemmeno di partecipare. Gli stati del Golfo sono terrorizzati.
Per quanto riguarda l’Iran, questo è solo l’inizio. Non molto tempo fa, il direttore del quotidiano governativo iraniano, un personaggio molto vicino al leader supremo, disse che il vicino Bahrain è in realtà una provincia iraniana. Le sue parole suscitarono molto allarme e furono seguite da frasi più rassicuranti da parte del ministro degli esteri di Teheran. Evidentemente alcuni funzionari iraniani vanno troppo in fretta.

(Da: YnetNews, 19.12.07)