Perché i piani di pace nascono inutili

Per la parte araba, abominevole è il concetto stesso di sovranità e autodeterminazione ebraica

Di Moshe Dann

image_2603Per gli arabi, l’occupazione israeliana nel 1967 di Giudea e Samaria (Cisgiordania) e della striscia di Gaza, e i successivi insediamenti, costituiscono solo una parte del problema. La vera questione è e resta il sionismo e la fondazione nel 1948 dello stato di Israele come stato ebraico. Nessun “piano di pace”, neanche il più estremo che richiedesse a Israele di ritirarsi da tutti i territori conquistati nella guerra difensiva del 1967, potrà risolvere il problema, dal punto di vita arabo-islamico, finché permetterà l’esistenza in qualche forma di uno stato nominalmente ebraico.
Dal punto di vista arabo vi sono dunque due “occupazioni” che si sommano: quella del 1948 e quella del 1967. Risolverne una legittimando l’altra è, per loro, inaccettabile. Abominevole, per loro, è il concetto stesso di sovranità e autodeterminazione ebraica, cioè il sionismo.
Ecco perché il “piano di pace” del presidente Obama non funzionerà. Perché presuppone che gli arabi siano interessati a un accomodamento. Invece, indipendentemente da quali concessioni faccia Israele, ciò non sarà mai abbastanza finché Israele stesso rimarrà in piedi, in qualunque forma. Giacché il sionismo, per come lo vedono arabi e musulmani, è razzismo: è un male in se stesso che va sradicato.
Dunque focalizzarsi sull’eliminazione degli insediamenti non coglie il vero nodo della questione. Relazioni diplomatiche ed economiche con Israele possono anche rivelarsi necessarie a livello pratico, ma questo non significa accettare il diritto di Israele ad esistere come “sede nazionale del popolo ebraico”.
Quand’anche venissero demoliti tutti gli “avamposti non autorizzati”, cosa si farebbe con i 300mila ebrei che oggi vivono in Giudea e Samaria e quelli, quasi altrettanti, che vivono nei quartieri di Gerusalemme sorti dopo il 1967? E quand’anche tutti questi ebrei potessero essere risistemati all’interno delle linee armistiziali del 1949-67, ciò non risolverebbe la questione dell’esistenza di Israele: uno stato i cui simboli, la cui lingua principale e la cui cultura sono ebraici; uno stato che per legge garantisce accoglienza ed assistenza agli immigrati ebrei e la cui identità e la cui ragion d’essere sono legati al popolo ebraico.
Non basta. Come sottolineano tanti esperti di strategia militare, un ritorno alle linee armistiziali del 1949 ridurrebbe drasticamente le possibilità di Israele di difendersi.
Il “piano di pace” di Obama non affronta le rivendicazioni arabe su beni perduti – il fasullo “diritto al ritorno” –, frutto del fallito tentativo di muovere una guerra di sterminio contro gli ebrei, supportata da cinque nazioni arabe. Né fa menzione dell’Unrwa, che per sessant’anni ha sostenuto le pretese arabe, la loro intransigenza e la loro ostilità.
Chi controllerà e proteggerà i luoghi santi e i siti archeologici ebraici? Chi garantirà i vitali rifornimenti idrici dalle falde montane?
Senza una chiara strategia e una pianificazione dettagliata, lo “slancio di pace” di Obama innescherà un’esplosione di violenze arabe contro Israele, aggravate delle brigate palestinesi addestrate e rifornite dagli stessi Stati Uniti sotto il generale Keith Dayton. Armamenti e missili avanzati nelle mani di Hamas e Hezbollah, con l’appoggio di Iran, Libia e altri paesi arabi e musulmani, spingeranno Israele sull’orlo di un secondo Olocausto.
Lo scontro non è sulla divisione del territorio, ma sul fatto se Israele sia degno o meno di esistere. Il motivo per cui questo tema non è sul tappeto è che nessun leader arabo ha mai accettato o accetterà il diritto ad esistere di Israele, né riconoscerà fatti elementari della storia del paese, come ad esempio che vi sono esistiti un Tempio e una sovranità ebraica.
L’emergere di odio anti-ebraico, specie in Europa, come attesta la calunnia del sangue recentemente scagliata in Svezia contro Israele, parte del sostegno ufficiale offerto dai paesi UE alla causa anti-ebraica sottoforma di campagna anti-israeliana, indica la profondità di quella ostilità. Ad esempio, definire “crimini di guerra” le azioni delle Forze di Difesa israeliane contro Hamas a Gaza e contro Hzbollah in Libano è diventato un modo “legittimo” per demonizzare gli ebrei-in quanto-israeliani. Accomunare la stessa ebraica alla svastica nazista e ritrarre i soldati israeliani come nuovi nazisti è diventato un modo “legittimo” per esprimere opposizione a Israele in quanto tale. Mettere sullo stesso piano gli insediamenti e il terrorismo e l’istigazione all’odio da parte araba cancella la differenza che corre fra costruire case e massacrare gente innocente.
Il non capire cosa vogliono veramente gli arabi e quali rischi Israele può permettersi di correre, combinato con un’ideologia fondata su soluzioni semplicistiche, non può costituire la base di solide politiche realistiche: serve solo a rafforzare l’idea che gli israeliani (gli ebrei) siano i cattivi della situazione.
La prossima guerra non sarà sugli insediamenti, su Gerusalemme, o su un secondo stato arabo palestinese (di qualunque tipo). Sarà, come è sempre stata, sul diritto in sé di Israele ad esistere.

(Da: YnetNews, 07.09.09)

Nella foto in alto: Moshe Dann, autore di questo articolo