Perché non unamministrazione fiduciaria europea?

I tentativi di risolvere il conflitto israelo-palestinese sono bloccati da una contraddizione concettuale

Da un articolo di Shlomo Breznitz

image_1576Dal punto di vista di Israele, i tentativi di trovare una via d’uscita dal conflitto israelo-palestinese sono bloccati da una contraddizione concettuale finora non risolta. Da una parte esiste ampio consenso, nell’opinione pubblica israeliana, sul fatto che governare sui palestinesi provoca ad Israele stesso danni duraturi, e che dunque a tale governo si debba porre fine quanto prima. Kadima, il maggiore partito dell’attuale coalizione di governo, andò alle ultime elezioni sulla base di una piattaforma che prevedeva appunto un grosso ritiro unilaterale dalla maggior parte della Cisgiordania.
Dall’altra parte, gli effetti del doloroso ritiro unilaterale dalla striscia di Gaza dicono che ripetere la stessa esperienza in Cisgiordania sarebbe un suicidio. Con l’ascesa di Hamas, è diventato chiaro che il disimpegno di Israele da Gaza non solo è stato male interpretato, ma anche brutalmente sfruttato. Nessun responsabile leader israeliano prenderebbe in considerazione l’idea di esporre praticamente tutto il territorio del paese a lanci di missili Qassam come quelli che attualmente si abbattono sulle zone attorno alla striscia di Gaza. La parte palestinese ha chiaramente dimostrato che i ritiri unilaterali non sono un’opzione praticabile.
Tuttavia, anche se un ritiro israeliano venisse coordinato con i palestinesi, questo non garantirebbe affatto la pace: per la semplice ragione che non c’è praticamente nessuna autorità centrale palestinese in grado di imporre la propria volontà. Il panorama politico palestinese abbonda di una gran varietà di milizie ed è frazionato a tal punto da risultare ingovernabile per qualunque gruppo in corsa per la leadership.
Di qui la contraddizione concettuale: Israele vuole andarsene, ma è non è possibile cedere quelle aree a un caotico assortimento di gruppi armati senza un’autorità centrale responsabile. Purtroppo, però, neanche lo status quo è un’opzione praticabile, giacché il processo di estremizzazione di tutta la regione viene ulteriormente alimentato dal conflitto arabo-israeliano.
In breve, siamo incastrati.
La posizione dei palestinesi è probabilmente ancora più difficile. Con Hamas alla guida del governo, il loro isolamento politico è quasi totale. La spaccatura fra il presidente dell’Autorità Palestinese e il suo primo ministro, e fra i loro reciproci sostenitori, sfocia sempre più frequentemente in spargimenti di sangue. L’alleanza di Hamas con l’Iran e la sua leadership in Siria sembra essere al servizio di obiettivi estremisti più che delle necessità della popolazione palestinese. La speranza di molti palestinesi nell’indipendenza, attraverso la Road Map o con qualche altro piano ragionevole, sembra più remota che mai.
Quello che occorre è un’autorità centrale in Palestina che permetta a Israele di ritirarsi senza pregiudicare la propria sicurezza. In mancanza di tale autorità, i vari tentativi di negoziato fra le parti sono destinati al fallimento.
Ciò significa una qualche forma di amministrazione fiduciaria della Palestina, come quella delineata da Martin Indyk in un suo articolo pubblicato nel 2003 su Foreign Affaire. Allora, gli Stati Uniti sarebbero stati la scelta naturale per assolvere tale funzione. Purtroppo, però, questa opzione non è realistica nella situazione politica attuale.
Viceversa l’Unione Europea, che ha un grande interesse strategico alla soluzione del conflitto in Medio Oriente, è molto più adatta per questo compito. Con le ampie minoranze islamiche che risiedono oggi in Europa, il problema israelo-palestinese non fa che alimentare malcontento ed estremismo all’interno dei paesi europei. Di conseguenza l’Europa potrebbe servire i propri interessi, oltre a quelli del Medio Oriente, se fornisse un incubatrice politica ai palestinesi preparandoli, come nel caso della Bosnia, a una futura piena indipendenza.
Questa incubatrice politica risponderebbe agli interessi di tutte le parti, compresa l’UE, e potrebbe essere avviata sulla base di una richiesta congiunta israelo-palestinese. Ciò non danneggerebbe in alcun modo gli interessi degli Stati Uniti nella regione, al contrario: si tratta di un cornice che potrebbe rilanciare la Road Map, permettendole di fare passi avanti.
Il passaggio da incubatrice politica – l’amministrazione fiduciaria – a piena sovranità dipenderebbe dalla rapidità con cui verrebbero fatti progressi. E anche dal grado di coinvolgimento degli europei: tanto maggiore, tanto maggiori le probabilità di successo.
Il principale obiettivo dell’UE sarebbe quello di pacificare la situazione sul terreno (realizzando così, di fatto, il primo passo previsto dalla Road Map), di aiutare la nascita delle istituzioni democratiche necessarie per l’indipendenza e di controllare in modo efficace come vengono impiegati gli aiuti internazionali, col risultato di migliorare nettamente la qualità della vita dei palestinesi.
Ad un certo punto di questo processo, l’UE si adopererebbe anche per facilitare colloqui bilaterali fra Palestina e Israele, volti alla soluzione definitiva di tutte le questioni più rilevanti.
È chiaro che un tale progetto andrebbe meglio studiato in tutti i dettagli. Ma in ultima analisi, il solo modo per fare passi avanti sarebbe questa specie di intervento radicale che creerebbe un’incubatrice in grado di permettere finalmente lo sviluppo dell’indipendenza palestinese.

(Da: Jerusalem Post, 31.01.07)