«Perché altri terroristi in libertà? Per il dubbio onore di poter negoziare con i palestinesi?»

Riflessioni, interrogativi, critiche e amarezza nel giorno delle nuove scarcerazioni

Commenti dalla stampa israeliana

Joshua Davidovich, su Times of Israel, dà uno sguardo ai giornali israeliani di martedì: «Due conflitti, relativi alla scarcerazione di altri 26 detenuti palestinesi, dominano le prime pagine dei giornali israeliani: quello tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il leader di Habayit Hayehudi Naftali Bennett, che pur essendo membro del governo si è pronunciato contro il rilascio, e quello tra i famigliari delle vittime dei terroristi che vengono rilasciati e i famigliari dei detenuti palestinesi in uscita dal carcere.

Nahum Barnea editorialista di Yedioth Ahronoth

Nahum Barnea, editorialista di Yedioth Ahronoth

Yedioth Ahronoth mette in prima pagina un’enorme fotografia di due genitori che mostrano le immagini dei loro figli uccisi dai terroristi, affiancata all’editoriale di Nahum Barnea dedicato al lato politico della questione. Le foto di parenti delle vittime del terrorismo, che abbondano su tutte le prime quattro pagine del giornale, sono state prese durante una protesta che ha avuto luogo lunedì davanti al carcere di Ofer, dove erano stati riuniti i 26 detenuti da scarcerare martedì sera. “Sono in imbarazzo a dover stare qui a gridare questi slogan per conto di mio padre, che implora dalla tomba che il suo assassino non venga rimesso in libertà”, dice una donna al giornalista. Spetta all’editorialista Barnea sostenere che si tratta soprattutto di una partita politica, e pazienza per le famiglie delle vittime. Netanyahu, scrive Barnea, aveva avuto assicurazione che Bennett avrebbe sostenuto il provvedimento o al massimo si sarebbe astenuto. E lo stesso tutti gli altri ministri. Ha evitato di pubblicizzare la cosa per non mettere in imbarazzo Bennett. Pertanto in questi ultimi giorni, quando Bennett e i suoi colleghi di partito hanno attaccato con forza la decisione sulle scarcerazioni, Netanyahu si è davvero “arrabbiato”.

Israel Hayom, da molti considerato come il più vicino a Netanyahu, cita in prima pagina l’avvertimento del primo ministro a Bennett: “I ministri devono agire in modo responsabile e prendere decisioni ponderate”. Nell’editoriale, è Dan Margalit che si assume il compito di criticare Bennett: “E’ chiaro – scrive – che è pazzesco scarcerare dei volgari assassini solo perché hanno agito in nome del nazionalismo. Ma l’ala destra del governo ha preferito un rilascio di detenuti a una pausa temporanea delle attività edilizie negli insediamenti. Questo è stato l’errore, e anche Bennett lo sa. Ormai il rilascio di detenuti è un dato di fatto e Israele, che non è un paese pirata, onora i propri impegni. Quando i ministri di Habayit Hayehudi e i loro amici e deputati nel Likud tentano di riaprire la questione, cercano semplicemente una foglia di fico per il loro partito, e forse per la loro coscienza, giacché non è che si fossero alzati e fossero usciti dalla stanza quando la cosa venne discussa a suo tempo”.

Amos Harel, corrispondente di Ha’aretz sulle questioni della difesa

Ma’ariv spinge sulla contrapposizione: non quella fra Bennett e Netanyahu, ma quella fra le famiglie delle vittime e le famiglie degli assassini, giustapponendole a pagina 2. Da una parte Yochai Ofer riferisce dell’orrore vissuto sul lato israeliano (sino agli slogan “un premio al terrorismo”, “vergogna di stato” e il mortificante “noi non siamo un gesto”). Dall’altra Asaf Gabor parla del festival preparato dai palestinesi per accogliere i loro parenti omicidi. “Stiamo preparando la casa e i cibi per celebrare la liberazione di mio fratello – dice un fratello di Shakir Mussabach, l’uomo che nel 1985 strangolò il sergente Akiva Shaltiel, 19 anni, dopo avergli offerto un passaggio in auto vicino a Tel Aviv – Verranno da ogni parte per festeggiare con noi”.

Ha’aretz è l’unico giornale che non apre sulle scarcerazioni, ma sull’attacco di Bennett a coloro che criticano il suo partito. “L’obiettivo è quello di addomesticarci – ha detto Bennet, citato dal giornale – per costringerci a conformarci alla mentalità del gregge. Che ci possiamo fare se noi abbiamo un’opinione diversa? Chi sostiene uno stato palestinese ha il sostegno di tutti, chi è contro perché ritiene che sia sbagliato e pericoloso viene definito di estrema destra e fascista. Ma noi non staremo in silenzio”. Amos Harel, in un editoriale favorevole al primo ministro assai raro su Ha’aretz, difende il rilascio di detenuti come un modo per Netanyahu di evitare la possibile rivolta palestinese e preservare i colloqui di pace. “Sono due le eventualità che preoccupano Israele – scrive Harel – una significativa escalation di violenza in Cisgiordania e, ancora di più, l’eventuale collasso delle trattative di pace con i palestinesi”.» (Da: Times of Israel, 29.10.13)

Shlomo Cesana, corrispondente diplomatico di Israel HaYom

Scrive Shlomo Cesana, su Israel HaYom: «Netanyahu sta pagando il prezzo per la mancanza di fiducia dell’opinione pubblica in questi “gesti” sproporzionati verso i palestinesi. In fin dei conti, si chiede la gente, per che cosa paghiamo? Accetteranno i palestinesi le esigenze avanzate da Netanyahu e firmeranno un accordo definitivo? Riconosceranno lo stato ebraico? Accetteranno confini per noi difendibili? Abbandoneranno le posizioni intransigenti su Gerusalemme e “diritto al ritorno”? Netanyahu merita credito per il tentativo di arrivare a un accordo, anche se ben pochi credono che sia concretamente possibile». L’editorialista comunque biasima Habayit Hayehudi perché «vuole tutti i vantaggi: votare contro le scarcerazioni e rimanere nella coalizione». (Da: Israel HaYom, 28.10.13)

Scrive Noah Klieger, su YnetNews: «Il processo di pace tra Israele e palestinesi, la più esasperante fatica di Sisifo dopo quella di Sisifo stesso, impone ancora una volta un prezzo pesante agli israeliani. Un ennesimo gruppo di detenuti sta per essere scarcerato in anticipo: pericolosi terroristi che avrebbero dovuto rimanere dietro le sbarre per il resto della vita, in applicazione delle sentenze dei tribunali, stanno andando a casa. Potranno metter su famiglia, un privilegio che è stato negato a parecchie delle loro vittime. Il che smentisce ancora una volta le dichiarazioni di Israele sulla sua “lotta senza quartiere contro il terrorismo”. Non c’è altro paese al mondo che rilasci i suoi nemici a un ritmo così vertiginoso, a guerra ancora in corso.

Noah Klieger, autore di questo articolo su YnetNews

Dunque a che pro vengono scarcerati i detenuti, questa volta? Solo per il dubbio onore di poter parlare con i palestinesi? Ma a parte Tzipi Livni, nessuno qui crede veramente che la pace arriverà dalle trattative con Saeb Erekat. Netanyahu e Abu Mazen hanno ripreso i colloqui più che altro per scrollarsi di dosso John Kerry, e prepararsi un alibi nel caso debba scoppiare una terza intifada. Ma proprio il rilascio di terroristi rischia di essere il carburante di questa intifada. Non occorre che personalmente i 26 detenuti scarcerati tornino alle loro pessime attività anziché iniziare un nuovo capitolo nella loro vita. È la scarcerazione in quanto tale che crea un senso di trionfo fra i palestinesi fautori della “lotta armata” e alimenta la spinta a tornare a un nuovo ciclo di violenze contro gli israeliani. Le giovani generazioni vorranno emulare la generazione degli “eroi”, giacché proprio in questo modo vengono glorificati quegli assassini». (Da: YnetNews, 29.10.13)

Scrive Nadav Shragai, su Israel HaYom: “Se volete veramente sapere da quali fonti di odio e tossine trassero il loro ribrezzo verso gli ebrei gli assassini che ora vengono scarcerati; se vi siete chiesti cosa abbia spinto un palestinese come Hazem Kassem Shbair, che ora esce di prigione, a fare a pezzi a colpi di ascia il 68enne Issac Rotenberg, residente a Bat Yam, sopravvissuto al campo di sterminio di Sobibor, andate a dare un’occhiata ai mass-media palestinesi, al sistema di istruzione palestinese, ai loro poeti, ai loro cantanti. Praticamente è ancora tutto lì, anche dopo il rilascio degli assassini della scorsa estate, come adesso, prima del rilascio degli assassini d’autunno.

Nadav Shragai, autore di questo articolo su Israel HaYom

Date un’occhiata, ad esempio, all’ultima edizione del mensile per giovani Zayzafuna: “Se vai noncurante incontro alla morte, allora sei un vero palestinese. Se il tuo inno è l’inno della shahada [martirio] e la morte per te è come una nascita, allora sei un vero palestinese. Se ami la morte e proclami ad alta voce il martirio, allora sei un vero palestinese. Se ti sei mai sentito come un corpo pronto a esplodere e la tua anima brama ad essere un giorno un eroe della patria, allora sei un vero palestinese. Se hai innaffiato l’albero della patria donando il tuo sangue e hai offerto i resti delle parti del tuo corpo come un ponte per coloro che devono ancora venire, allora sei un vero palestinese”. Questo “canto di pace e amore” è stato ristampato già tre volte dalla rivista giovanile, nel cui comitato consultivo siedono il vice ministro dell’istruzione dell’Autorità Palestinese, Jihad Zakarneh, e il capo del dipartimento mass-media del ministero dell’istruzione dell’Autorità Palestinese, Abd Al-Hakim Abu Jamous. Altri “toccanti” esempi di questo tipo non sono difficili da trovare. Basta andare sul sito Palestinian Media Watch, o guardare i materiali raccolti da altre fonti come il Ministero israeliano per gli affari strategici. Per i palestinesi, tutto normale. Non c’è la minima parvenza di cambiamento. Gli assassini tornano liberi, mentre tutt’attorno infuria questo “clima di pace” infarcito di odio, istigazione, delegittimazione e glorificazione di stragisti e terroristi. Questi sono i testi, i video, le linee con cui danno il benvenuto ai terroristi scarcerati da Israele come “gesto di buona volontà”. (Da: Israel HaYom, 29.10.13)