Peres: “Abu Mazen è ancora il partner per la pace”

Ma uno stato palestinese senza sicurezza per Israele significa solo continuazione del conflitto.

image_3130Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) è ancora “certamente” un interlocutore per la pace con Israele, nonostante abbia firmato un accordo di riconciliazione con Hamas. Lo afferma il presidente israeliano Shimon Peres in un’intervista al Jerusalem Post in occasione della 63esima Giornata dell’Indipendenza dello Stato d’Israele.
Definendo “un ponte provvisorio” l’accordo Fatah-Hamas siglato dal scorsa settimana, Peres afferma d’aver criticato Abu Mazen per quel passo, ma aggiunge: “Questo non mi esime dalla necessità di dialogare con lui. Non ho intenzione di voltare le spalle al campo per la pace palestinese, anche se lo devo criticare. Abu Mazen era e rimane un interlocutore – dice Peres – perché vuole intrattenere negoziati con Israele, si oppone alla violenza e desidera la pace”.
A proposito della nuova leadership palestinese che scaturirà dall’accordo Fatah-Hamas, Peres fa appello alla comunità internazionale affinché tenga ferme le condizioni poste a Hamas per la sua legittimazione: che gli islamisti riconoscano il diritto di esistere dello stato d’Israele, che accettino gli accordi precedentemente firmati fra Israele e palestinesi, e che ripudino violenza e terrorismo. Secondo il presidente israeliano, su questi principi dovrebbe incentrarsi l’iniziativa israeliana nei discorsi e negli incontri che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu terrà negli Stati Uniti questo mese.
Peres sottolinea la necessità che la comunità internazionale tenga in considerazione le vitali esigenze di sicurezza di Israele nel momento in cui prende in considerazione gli appelli palestinesi per una dichiarazione di indipendenza unilaterale. “Andare alle Nazioni Unite soltanto con una dichiarazione di indipendenza senza dare le necessarie risposte alle preoccupazioni di sicurezza d’Israele significa la continuazione del conflitto, non la soluzione e la fine del conflitto”.
Alla domanda se Israele dovrebbe a sua volta riconoscere l’indipendenza palestinese, il presidente israeliano risponde: “Sono favorevole al riconoscimento, a patto che i palestinesi riconoscano le necessità di sicurezza d’Israele”, e spiega: “Vi sono due componenti: uno stato palestinesi e le necessità di sicurezza di Israele. Se noi parliamo soltanto delle esigenze di sicurezza di Israele, facciamo solo metà della strada. Se loro parlano soltanto dello stato palestinesi, fanno solo metà della strada. Ma fare solo metà della strada per la pace significa continuazione del conflitto. L’ho detto anche al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon – continua Peres – Gli ho detto: signori, volete decidere per uno stato palestinese? Bene, ma siete in grado di fermare il terrorismo? Siete in grado di fermare gli attacchi e le aggressioni? Potete far cessare l’istigazione all’odio e alla violenza? Oppure, vi sarà uno stato palestinese e tutto questo andrà avanti come prima? E questa sarebbe la pace? È questo che volete?”.
Peres risponde con un deciso “sì” alla domanda se definirebbe in modo inequivocabile il presidente Usa Barack Obama un autentico amico di Israele, e ricorda come Obama abbia detto, a lui e ad altri in varie occasioni: “Finché sarò alla Casa Bianca, la sicurezza di Israele sarà in cima al mio ordine di priorità”.
Forte sostenitore della spinta per la democrazia nel mondo arabo, Peres afferma tuttavia che gli esiti della crisi attualmente in corso possono essere soltanto due: “O il mondo arabo torna al tribalismo e alla miseria, o fa il suo ingresso nel ventunesimo secolo. Non ci sono vie di mezzo. Naturalmente – aggiunge – è interesse d’Israele che il mondo arabo entri nel ventunesimo secolo. Non siamo ottusi. Tutto l’ebraismo si regge sul principio che ogni essere umano è creato a immagine di Dio: i nostri valori sono e devono essere più forti anche delle nostre politiche”.
Alla domanda se immagina che la sollevazione rivoluzionaria possa raggiungere l’Iran, Peres risponde in modo asciutto: “L’Iran è un buon candidato. E gli iraniani certamente lo meritano”.

(Da: Jerusalem Post, 9.5.11)

Nella foto in alto: il presidente d’Israele, Shimon Peres

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