Qual è la colpa di Israele?

Se dipendesse soltanto da Israele, la pace sarebbe stata già raggiunta da un pezzo.

Editoriale del Jerusalem Post

image_3243Esiste la tendenza, anche all’interno di Israele, di addossare al governo Netanyahu tutta la colpa per le difficoltà diplomatiche in cui Israele si trova, in particolare sulla questione della richiesta di riconoscimento unilaterale palestinese. Se solo gli artefici della politica estera israeliana avessero avanzato una qualche iniziativa di pace, dicono i critici, i palestinesi avrebbero lasciato cadere la loro campagna per essere riconosciuti come stato alle Nazioni Unite sulle linee del 1967.
In contrasto con questa tendenza, il presidente degli Stati Uniti, nei suoi venti minuti di discorso all’Assemblea Generale dell’Onu, è stato molto attento a non attribuire a nessuna delle due parti la responsabilità per la rottura dei negoziati. Barack Obama ha invece sollecitato sia gli israeliani che i palestinesi ad avviare negoziati diretti senza accennare a nessuna precondizione. Evidentemente il presidente Obama capisce meglio di tanta parte della stessa opposizione israeliana (per non dire di quella all’estero) che non è possibile incolpare sempre e solo il governo Netanyahu per l’assenza di pace.
Dopotutto, cosa avrebbe potuto plausibilmente offrire Netanyahu ai palestinesi per far ripartire i colloqui? Netanyahu ha già accettato, nel 2010, sotto pressioni americane e occidentali, una moratoria senza precedenti di dieci mesi di tutte le attività edilizie ebraiche in Giudea e Samaria (Cisgiordania), compresi i grossi insediamenti di Ma’aleh Adumim, Efrat ed Ariel che tutti in Israele considerano destinati a restare parte di Israele in qualunque accordo finale. Ma i palestinesi hanno sprecato nove di quei dieci mesi rifiutandosi di negoziare a meno che il congelamento non venisse esteso fino ad includere i quartieri di Gerusalemme che la stragrande maggioranza in Israele considera definitivamente israeliani, come French Hill, Ramat Eshkol e Ghilo.
È vero, come ha detto l’ex primo ministro israeliano Ehud Olmert, che “i parametri del futuro accordo di pace sono ben noti a tutti e sono già stati messi sul tappeto”. Senza dimenticare il fatto, però, che quegli stessi parametri – che prevedono la creazione di uno stato palestinese su un territorio quantitativamente equivalente alle aree per-‘67 e la divisione/condivisione di Gerusalemme come capitale di entrambi gli stati, israeliano e palestinese – vennero già offerte nel 2000 e nel 2008, rispettivamente dai primi ministri Ehud Barak e Olmert. [“Per ragioni che ancora oggi, dopo tutti questi anni, non conosco per certo, Arafat rifiutò l’accordo che avevo messo insieme e che Barak aveva accettato – ha detto Bill Clinton la sattimana scorsa, ad una tavola rotonda della Clinton Global Initiative – E allora avevano di fronte un governo israeliano che era disposto a cedere anche Gerusalemme est come capitale del nuovo stato di Palestina”.]
Ma i dirigenti palestinesi respinsero entrambe quelle offerte perché si rifiutano di cedere sul cosiddetto diritto al ritorno” che, se applicato, comprometterebbe la maggioranza ebraica determinando l’invasione d’Israele con milioni di “profughi” palestinesi (veri e presunti), anziché reinsediarli nel loro futuro stato palestinese.
In realtà la dirigenza palestinese, che rifiuta di riconoscere Israele come stato nazionale del popolo ebraico, non ha fatto assolutamente nulla per preparare la propria gente alla pace con Israele. Al contrario, i mass-media e i politici palestinesi continuano imperterriti a glorificare i terroristi stragisti e ad alimentare la rovinosa illusione che il popolo palestinese possa un giorno reinsediarsi a Giaffa, a Haifa e in tutto il resto di Israele.
Alla vigilia delle festività ebraiche di Rosh Hashana e Yom Kippur, è naturale tendere all’autocritica e all’esame di coscienza: fa parte integrante della cultura ebraica l’assunzione di responsabilità personale da parte di ciascuno e la necessità di rincrescersi per i propri errori onde non ripeterli. Ma nel caso dei negoziati israelo-palestinesi, c’è veramente poco spazio per le autorecriminazioni da parte di Israele. La verità e che, se dipendesse soltanto da Israele, la pace sarebbe stata già raggiunta da un pezzo.

(Da: Jerusalem Post, 22.9.11)

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