Qualche pensiero alla vigilia del nuovo anno (ebraico)

Assad, Sharon, Washington, i regimi arabi, gli ebrei nel mondo.

Da un articolo di David Horovitz

image_913[…] Alcune riflessioni, non previsioni, per il prossimo anno (ebraico).

Non scommettiamo sul presidente siriano Bashar Assad. Seconda scelta del suo stesso padre, l’uomo che ha perduto il Libano si sta gradualmente avviluppando nell’inchiesta Onu sull’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri. Il punto, qui, non è che gli Stati Uniti vedrebbero volentieri l’uscita di scena del “leoncello” di Damasco. I fatto è che i risultati di un giudice tedesco nominato dalle Nazioni Unite, che facesse risalire le responsabilità per l’assassinio di un vicino leader sunnita molto in alto nel regime della minoranza alawita di Assad, potrebbe scatenare molto nervosismo, o peggio, verso Assad nella maggioranza sunnita siriana.

Aspettiamoci un ampliamento di quella che è già la divergenza in più rapida crescita nel mondo, e qui in Israele: quella tra il decile economicamente al vertici e quello al fondo, alimentato per una parte meschina dai metodi del tipo “non ci si ferma davanti a niente” con cui la ricchezza viene talvolta conseguita, e dall’evidente incapacità di far rispettare le leggi contro gli abusi.

Sharon sostiene da sempre con risolutezza di non aver subito nessuna pesante pressione diplomatica americana, né come principale motivo dietro alla sua iniziativa senza precedenti per il disimpegno negli ultimi due anni, né oggi come impedimento all’espansione degli insediamenti in Cisgiordania. Forse è solo una questione semantica: i suoi oppositori gridano alle pressioni là dove il primo ministro vede concordia, e gli americano preferiscono dire che cercano garbatamente di persuadere Israele su cosa sia nel suo stesso interesse.
In questo spirito, nei prossimi mesi non sorprendiamoci se avremo l’impressione che Washington non condivide l’approccio senza fretta di Sharon sulla questione dello smantellamento degli avamposti in Cisgiordania considerati illegali del suo stesso governo. E se Washington dissentirà dall’attuale valutazione di Sharon secondo cui l’interesse di Israele è meglio servito dal tentativo di contrastare la partecipazione di Hamas alle elezioni per il Consiglio Legislativo palestinese. Aspettiamoci, anzi, “garbate pressioni” americane per convincerci che in fondo sia più utile per Israele non ostacolare il reclutamento di Hamas nel corpo politico palestinese, anche nel caso si confermasse assai riluttante a cedere la armi.

Quest’anno nella classe di mio figlio è arrivato il figlio di un tirocinante rabbino della comunità ebraica ugandese. So che avremmo potuto ritrovarci tutti in Uganda se fossero prevalse alcune idee originarie di Herzl, ma non avevo idea che in Uganda esistesse una comunità ebraica autoctona.
Intanto l’opinione demografica corrente riteneva che non vi fossero ormai più di cinque famiglie ebree in tutto il Pakistan. Invece, adesso che Israele e Pakistan hanno avviato un dialogo, piovono messaggi e-mail da Karachi che testimoniano della presenza di sinagoghe nascoste e di numerose famiglie ebree di una comunità finora costretta al silenzio.
Gli ebrei evidentemente sono arrivati e sono dappertutto. Che il prossimo anno ci porti altre scoperte di questo tipo. […]

Finché riesce a eludere altre potenziali minacce alle sua vita, è probabile che il presidente pakistano Pervez Musharraf non si farà dissuadere dalle voci della sua opposizione interna dal continuare il disgelo nei contatti, ora alla luce del sole, fra Pakistan e Israele. Anche i contatti con alcuni paesi arabi potrebbero rafforzarsi. Sharon stava accelerando i preparativi per una visita ufficiale in Tunisia, finché il viaggio non si è arenato su divergenze circa le misure di sicurezza, specificamente per un veto dei tunisini sul contingente di guardie del corpo armate senza il quale il primo ministro israeliano non può muoversi. […]

Israele non può stare a proprio agio con il nucleare Iran. Né può farlo l’America. Ma le condizioni che resero possibile il colpo aereo a sorpresa israeliano che fece abortire il programma nucleare di Saddam Hussein facendo saltare in aria il reattore iracheno di Osirak nel 1981 oggi, con tutta evidenza, non si riscontrano nel caso dell’Iran, che ha sparpagliato e attentamente protetto i suoi siti nucleari, e che dispone delle necessarie capacità e materie prime per ricostruirli se colpiti. Se si dimostrasse impossibile ottenere che il Consiglio di Sicurezza si spinga almeno a prendere in considerazione quest’incubo incombente, le probabilità di un tentativo di “regime change” guidato dagli Stati Uniti sono davvero molto remote. Alcuni esperti ritengono che ci vogliano ancora alcuni anni prima che l’Iran consegua capacità nucleare, molti altri credono che il tempo sia già praticamente esaurito. Se c’è un piano, il momento giusto potrebbe essere adesso, o mai più.

(Da: Jersuaelm Post, 29.09.05)

Nella foto in alto: David Horovitz, direttore del Jerusalem Post e autore di questo articolo.