Quando Ben Gurion celebrò la “speranza di pace” portata da Nasser

Solo il tempo dirà in che direzione vanno veramente i cambiamenti in corso in Medio Oriente.

Se ne discute in Israele: recenti commenti sulla stampa israeliana

image_3064Scrive HA’ARETZ, a proposito dei recenti eventi al Cairo: «Una nuova era è sorta in Medio Oriente. […] L’Egitto non è in conflitto con Israele e non deve essere presentato come un nemico.» L’editoriale chiede al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di mostrare moderazione e dare all’Egitto una chance di stabilire un regime democratico.
(Da: Ha’aretz, 13.2.11)

Scrive YISRAEL HAYOM: «Solo col tempo si potrà sapere cosa porta veramente questo cambiamento. Quando Naguib e Nasser spodestarono re Farouk, nel 1952, Ben Gurion andò alla Knesset ad elogiare i giovani ufficiali per aver portato una speranza di pace nella regione. Ma la pace arrivò solo dopo ventisei anni, e altre tre guerre.»
(Da: Yisrael Hayom, 13.2.11)

Scrive MA’ARIV: «In Egitto ha avuto luogo un colpo di stato militare interno, guidato dal ministro della difesa Tantawi che ha cercato di impedire a Mubarak di lasciare il potere in eredità al figlio Jamal. […] I capi militari egiziani ricordano bene cosa accadde ai loro colleghi in Iran, dopo la rivoluzione di Khomeini, e non intendono ripetere quell’errore quel grave madornale.» Secondo l’editoriale, i militari egiziani non permetteranno alla Fratellanza Musulmana di prendere pieno controllo del paese: «Al massimo, l’esercito permetterà loro di ottenere quel 20% dei voti che avevano riportato nelle elezioni del 2005.»
(Da: Ma’ariv, 14.2.11)

Secondo YEDIOT AHARONOT, «la vittoria delle rivoluzioni non violente in Tunisia e in Editto non solo costituisce una solida base per la futura democrazia: rappresenta anche un colpo micidiale per al-Qaeda e le altre organizzazioni della jihad islamica che sventolano agitano la bandiera della guerra santa violenta. Ormai è chiaro che nessuno di questi regimi può resistere più di tanto alla volontà di masse non violente.»
(Da: Yediot Aharonot, 15.2.11)

Scrive HA’ARETZ che Gerusalemme, in contrasto con la sua politica tradizionale, «deve vedere i cambiamenti in corso in Medio Oriente come un’opportunità, e avanzare un’iniziativa diplomatica preventiva tale da mettere in chiaro agli stati arabi, e al mondo intero, che Israele è pronto a far parte della nuova realtà che ribolle in tutto il Medio Oriente.»
(Da: Ha’aretz, 16.2.11)

Secondo YEDIOT AHARONOT, la prova che le tensioni regionali fra popoli e governanti stanno investendo anche la Giordania si vede nel fatto che il ministro della giustizia giordano Hussein Majali, benché in carica soltanto da una decina di giorni, ha già «invischiato il re in un incidente diplomatico con Israele». [Lunedì scorso Majali ha aderito alla richiesta di scarcerazione come “eroe” di Ahmed Daqamseh, il soldato giordano che nel 1997 uccise a mitragliate sette studentesse liceali israeliane in gita a Naharayim, al confine fra Israele e Giordania. In Israele si ricorda ancora oggi con commozione come l’allora re Hussein di Giordania si fosse recato immediatamente in Israele a presentare personalmente le proprie scuse e condoglianze alle famiglie colpite] «Nella sua precedente veste di capo dell’associazione di categoria degli avvocati – continua l’editoriale – Majali non aveva fatto mistero della sua ostilità verso l’accordo di pace e verso qualunque tipo di cooperazione con Israele.» Un altro possibile segnale di inquietudine in Giordania, secondo il giornale, è la lettera che 36 capi di tribù beduine hanno mandato a re Abdallah II per chiedergli di “occuparsi” della regina Rania, che per inciso è di origini palestinesi. Circa il ministro della giustizia, Yediot Aharonot aggiunge che egli non ha l’autorità di amnistiare l’assassino delle ragazze israeliane, mentre al contrario il neo primo ministro giordano è un ex generale ed ex ambasciatore in Israele che conosce molto bene la storia della strage di Naharayim del 1997.
(Da: Yediot Aharonot, 16.2.11)

A proposito delle manifestazioni di martedì in Iran, YISRAEL HAYOM sottolinea come il presidente Usa Barack Obama, a differenza del 2009, abbia espresso un forte e inequivocabile appoggio ai dimostranti anti-regime. «In Iran – continua l’editoriale – sussistono tutte le condizioni che hanno portato alla rivolta popolare in Egitto: povertà crescente, aumento incontrollato del costo della vita, incremento della disoccupazione soprattutto fra i giovani e i laureati, corruzione istituzionalizzata e l’ininterrotto governo da più di trent’anni da parte di chierici falliti. Il regime iraniano non cadrà domani, ma si può presumere che anch’esso sia sulla strada del collasso.»
(Da: Yisrael Hayom, 16.2.11)