Quando i poliziotti palestinesi facevano il doppio gioco

Arruolati dai gruppi terroristici molti palestinesi addestrati anche in Usa ed Europa per fare i poliziotti

image_570Almeno seicento agenti delle varie forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese sono rimasti uccisi dall’inizio della cosiddetta intifada, più di quattro anni fa, per la maggior parte mentre erano impegnati in attacchi violenti contro israeliani. Lo ha rivelato domenica al Jerusalem Post un alto ufficiale dell’Autorità Palestinese.
L’ufficiale ha inoltre dichiarato che, durante lo stesso periodo, decine di poliziotti e agenti di sicurezza dell’Autorità Palestinese sono stati arrestati dalle Forze di Difesa israeliane per il loro coinvolgimento, sia diretto che indiretto, negli attacchi armati contro Israele.
Secondo l’ufficiale palestinese, la maggior parte degli agenti uccisi negli scontri con le Forze di Difesa israeliane si erano uniti alle varie milizie in Cisgiordania e striscia di Gaza poco dopo lo scoppio dell’ondata di violenze nel settembre 2000. Altri, invece, non necessariamente coinvolti con le milizie terroristiche, sono rimasti uccisi nei raid compiuti dalle Forze di Difesa israeliane contro strutture dell’Autorità Palestinese, o durante scontri con miliziani armati palestinesi.
La maggioranza dei poliziotti scelse di arruolarsi nell’ala armata di Fatah, le Brigate Martiri di Al Aqsa (responsabili di numerosi attentati, anche suicidi), mentre una minoranza preferì unirsi ai gruppi jihadisti Hamas e Jihad Islamica.
“Per lo più questi uomini militavano come agenti della sicurezza e contemporaneamente come attivisti di gruppi armati irregolari – ammette l’ufficiale palestinese – Il fatto che avevano ricevuto un addestramento di tipo paramilitare faceva di loro una risorsa preziosa, giacché potevano applicare nello scontro con i soldati israeliani le tattiche che avevano appreso nell’addestramento come poliziotti”.
Molti poliziotti e agenti di sicurezza dell’Autorità Palestinese erano stati addestrati da esperti egiziani, giordani e americani. Altri avevano seguito corsi d’accademia militare nei paesi dell’ex blocco orientale e nell’ex Unione Sovietica, prima e dopo la firma degli Accordi di Oslo.
I poliziotti che facevano il doppio gioco come miliziani irregolari appartenevano soprattutto al Servizio di Sicurezza Preventiva e alla Forza di Sicurezza Nazionale. L’ufficiale palestinese cita come tipico esempio il caso di Youssef Kabaha, detto Abu Jandal, che militò come comandante di milizie armate irregolari nel campo profughi di Jenin durante l’Operazione Scudo Difensivo nell’aprile 2002. Abu Jandal, tenente colonnello nella Forza di Sicurezza Nazionale in Cisgiordania, giocò un ruolo fondamentale nell’organizzare i terroristi che combatterono contro i soldati israeliani nel campo, e restò ucciso proprio durante quegli scontri. I compagni di Abu Jandal dicono che, sebbene fosse sul libro paga dell’Autorità Palestinese, egli fungeva anche da comandante dell’ala armata della Jihad Islamica nel campo profughi di Jenin.
Un altro caso famoso è quello di Jihad al-Amarin, fondatore della “divisione suicidi” delle Brigate Martiri di Al Aqsa nella striscia di Gaza. Amarin, originario del quartiere Zaitoun della città di Gaza, era anche un alto ufficiale della Forza di Sicurezza Nazionale. Venne ucciso in un attacco missilistico delle forze aeree israeliane contro la sua auto nel luglio 2002. Nell’attacco morì anche suo nipote, il 33enne Wael al-Nammara, il quale, oltre ad appartenere alle Brigate Martiri di Al Aqsa, era ufficiale superiore nel Servizio di Sicurezza Preventiva.
Il Servizio di Sicurezza Preventiva nella striscia di Gaza si è anche vantato dl fatto che due suoi ufficiali fossero coinvolti in attacchi contro soldati israeliani negli anni scorsi.
Nel primo caso, Baha Abu al-Said, che era anche membro delle Brigate Martiri di Al Aqsa, guidò un gruppo di terroristi che si infiltrarono in una postazione militare israeliana uccidendo tre soldati. Il suo collega Yasser Khatib, membro dello stesso Servizio, comandò nello stesso periodo le Brigate Martiri di Al Aqsa a Rafah, fino al giorno della sua morte lo scorso anno in uno scontro con i soldati. Khatib era considerato responsabile di diversi attacchi contro basi militari e civili israeliane nella striscia di Gaza.
Khaled Shawish, ufficiale superiore della Forza di Sicurezza Nazionale, era contemporaneamente uno dei capi delle Brigate Martiri di Al Aqsa in Cisgiordania, e ha trascorso gli ultimi tre anni nascosto all’interno della Muqata, il quartier generale “presidenziale” di Yasser Arafat a Ramallah. In una recente intervista, Shawish, tuttora latitante, ha rivelato di essere stato comandato in servizio alla Tomba di Giuseppe a Nablus (attaccata e distrutta dai palestinesi nelle prime settimane di intifada), prima che prendesse la decisione decidere di arruolarsi nelle Brigate Martiri di Al Aqsa e compiere una serie di attentati contro militari e civili.
Raramente le forze dell’Autorità Palestinese hanno preso le distanze dai loro ufficiali coinvolti in queste azioni. Al contrario, per lo più si sono fatte vanto del fatto che loro membri erano impegnati nella “lotta contro Israele”. I necrologi diffusi pochi mesi fa nella città cisgiordana di Salfit da membri di Fatah e della Forza di Intelligence Generale, ad esempio, rivelano che il comandante locale delle Brigate Martiri di al Aqsa, morto per una misteriosa esplosione, vestiva anche la divisa di agente di sicurezza. Jihad Hassan, anche noto come Abu Na’im, era il comandante delle Brigate terroristiche a Salfit e in quanto tale era sulla lista dei latitanti ricercati da Israele da almeno due anni. I locali sostengono che Hassan aveva acquistato da un mercante d’armi un mitra M-16 che pare fosse stato trasformato in una trappola esplosiva dai servizi di sicurezza israeliani (Shin Bet). Secondo questa versione, il mitra sarebbe esploso mentre Hassan lo stava pulendo, ferendolo mortalmente. Un necrologio pubblicato dalla Forza di Intelligence Generale, sotto il comando del generale Tawfik Tirawi, ha rivelato che il capo delle Brigate Martiri di Al Aqsa serviva anche nella forza dell’Autorità Palestinese con il grado di tenente. “Il comandante della Forza di Intelligence Generale palestinese – recitava il necrologio – e tutti i suoi ufficiali e soldati piangono la morte del martire ed eroe, il tenente Jihad Hassan, martirizzato sul suolo di Salfit il 26 settembre 2004 nell’adempimento del suo dovere”.
Ma ciò che forse è più preoccupante è il fatto che anche alcuni poliziotti istruiti in Europa e Stati Uniti sono finiti nei ranghi delle Brigate Martiri di Al Aqsa. Almeno due terroristi di Fatah in Cisgiordania hanno ammesso di recente di aver seguito per sei settimane corsi di addestramento come guardie del copro sotto la giuda di esperti della sicurezza americani nei pressi di Washington, DC. Più tardi entrambi sono risultati coinvolti in un certo numero di attacchi armati contro Israele, nonché sospettati di “collaborazionismo”.
Nel tentativo di contenere il fenomeno, la dirigenza dell’Autorità Palestinese la scorsa settimana ha emesso un’ordinanza che vieta a poliziotti e agenti di sicurezza di portare armi fuori servizio. “Siamo seriamente intenzionati a porre fine a questo caos – ha concluso l’ufficiale palestinese, parlando con il Jerusalem Post – giacché mostra una totale mancanza di disciplina tra le nostre forze”.

(Khaled Abu Toameh su Jerusalem Post, 7.02.05)

Nella foto in alto: Terroristi delle Brigate Al Aqsa in azione nel campo palestinese di Khan Yunis (striscia di Gaza).