Quando il lupo non fa nemmeno finta di travestirsi da pecora

Nonostante gli esercizi di public relation, l’ultimo tentativo di riunificazione palestinese è accompagnato da tutte le tradizionali lacune, a cominciare dal gap fra le due fazioni sui problemi della sicurezza

Editoriale del Jerusalem Post

“Hamas non ha ceduto un solo mitra e resta da vedere se mai lo farà”

Nel bel mezzo del suo recente tentativo di promuovere la cosiddetta riconciliazione con la fazione rivale palestinese Fatah, Hamas ha sorpreso il coro dei suoi sostenitori scegliendo proprio l’ideatore del sequestro e assassinio di tre adolescenti israeliani per dare lustro alla sua falsa immagine di “moderazione”. E così Hamas riesce ancora una volta a svelare il suo vero volto.

Alcuni inizialmente avevano visto nell’accordo per l’unità palestinese mediato dall’Egitto una manovra di Hamas per rafforzare la propria postura in vista dei colloqui di riconciliazione con il movimento Fatah del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Se è così, tuttavia, quale vantaggio avrebbe potuto derivare alla nuova immagine pubblica di Hamas dalla nomina di un terrorista come suo vice capo a Gaza? Nominando l’assassino dichiarato Saleh al-Arouri come suo vice capo politico, Hamas ha portato alla ribalta un uomo noto per aver capeggiato nel 2014 il rapimento e assassinio di Gilad Shaer, Eyal Yifrah e Naftali Fraenkel, oltre a una lunga lista di altri attentati terroristici in Cisgiordania. Il 20 agosto 2014, dopo essere stato pubblicamente identificato come l’organizzatore dell’omicidio dei tre ragazzi, Arouri dichiarò apertamente che dietro a quell’atrocità c’erano le Brigate Izzadin Kassam, ala militare di Hamas. Arouri, che è uno dei fondatori dell’ala militare di Hamas, lo affermò durante una conferenza a Istanbul, dove allora risiedeva dopo essere stato rilasciato (sotto ricatto) da un carcere israeliano.

Secondo Naji Sharab, scienziato politico dell’Università Al-Azhar di Gaza, la nomina di Arouri ha lo scopo di segnalare che il movimento jihadista non ha intenzione di accettare il programma politico di Abu Mazen basato su una soluzione “a due stati”, né di riconoscere Israele, né di assumersi la responsabilità di rispettare gli accordi già firmati dai palestinesi con Israele. “Abu Mazen vuole che Hamas sostenga il suo programma politico, ma il messaggio qui è che noi palestinesi non possiamo fare concessioni sul nostro programma politico”, conclude Sharab.

 

L’Autorità Palestinese riprende il controllo su Gaza

Nonostante gli esercizi di public relations, le notizie su quest’ultimo tentativo di riunificazione palestinese sono accompagnate da tutte le tradizionali lacune di questo genere di accordi, a cominciare dalla distanza fra le due fazioni rispetto ai problemi della sicurezza. Mentre Abu Mazen insiste sul disarmo delle Brigate Izzadin Kassam, l’obiettivo strategico del movimento jihadista è quello di mantenere il controllo reale sulla striscia di Gaza (ed eventualmente allargarlo alla Cisgiordania), lasciando a Fatah e al suo debole presidente il lavoro impopolare di amministrare gli affari di governo. Se si trattasse di un’ammissione da parte di Hamas della propria totale incompetenza come organismo di governo per i palestinesi sarebbe l’unica cosa razionale di cui potrebbero vantarsi i cosiddetti “pragmatici” di Gaza.

Abu Mazen ha dichiarato che non intende accettare un accordo che consenta a Hamas di comportarsi come fa Hezbollah in Libano: una potente milizia armata che spadroneggia in un territorio gestito da un governo apparentemente moderato. Ma l’accordo firmato al Cairo giovedì scorso è essenzialmente questo. Fatah assumerà il controllo dell’amministrazione civile a Gaza e dei valichi di frontiera, mentre Hamas non ha ceduto un solo mitra e resta da vedere se mai lo farà.

È per questo che è importante tenere ben presente la nomina di Arouri. Può anche darsi che Hamas decida di mostrare al mondo un volto più presentabile, ma le probabilità che questo accordo e i colloqui che ne seguiranno portino a un vero miglioramento della situazione per gli israeliani e per i palestinesi di Gaza sono molto scarse. Il mondo potrebbe aspettarsi che finalmente Hamas si assuma la responsabilità del suo totale fallimento a Gaza, e la smetta una buona volta di spendere enormi risorse nell’accumulare armi e scavare tunnel d’infiltrazione terroristica in vista del prossimo scontro armato con Israele. Ma anche questo è assai improbabile.

La sfida per Israele sarà quella di mantenere desta l’attenzione del mondo sui presupposti originariamente indicati a Hamas dal Quartetto per il Medio Oriente (Onu, Stati Uniti, Unione Europea e Russia): riconoscimento esplicito del diritto di Israele ad esistere, riconoscimento degli accordi già firmati da Israele e Autorità Palestinese, completa cessazione di terrorismo e violenza. Nessuna di queste condizioni è stata rispettata, e c’è da dubitare che lo sarà. Ma Israele dovrà assicurarsi che il mondo non dimentichi la necessità che il terrorismo cessi affinché si possano realizzare veri progressi diplomatici con i palestinesi.

(Da: Jerusalem Post, 15.10.17)