Quando la forza (e i timori) di Israele fanno un po’ troppo comodo

L’occidente dà per scontato che Israele non potrà tollerare un Iran nucleare, e forse ne approfitta

M. Paganoni per NES n. 7, anno 20 - luglio-agosto 2008

image_2174Nonostante i Qassam caduti su Israele a tregua già avviata; nonostante i penosissimi mercanteggiamenti per ottenere la restituzione, vivi o morti, degli ostaggi da due anni nella mani dei terroristi jihadisti in Libano e nella striscia di Gaza; nonostante l’esplosione di violenza omicida a Gerusalemme, questa volta nella forma di un bulldozer lanciato sulla gente; nonostante gli strascicatissimi negoziati con la Siria (indiretti, per carità!) sotto l’egida della Turchia: nonostante tutto questo, il maggiore incubo che incombe su Israele, anche in questa estate 2008, è quello dell’atomica iraniana. Con un rischio supplementare: che qualcuno stia pensando di approfittare della vivissima preoccupazione israeliana, che pure solo israeliana non è e non dovrebbe essere.
“Oggi l’occidente ha capito che quella dell’Iran è una sfida al mondo intero – dice Yossi Kuperwasser, ex alto ufficiale dell’intelligence militare israeliana (YnetNews, 1.07.08) – Alla fine si sono svegliati, ma sembra che molti statisti ancora non si rendano conto della gravità della situazione. Ognuno cerca di scaricare su altri la responsabilità di fare qualcosa, convinti che alla fine, se nulla cambierà, Israele sarà costretto a fare il lavoro per tutti”. Insomma, secondo Kuperwasser l’occidente sa che Israele non può permettersi un Iran dotato di armi nucleari e fa affidamento sul fatto che, prima o poi, si troverà costretto a sferrare un colpo su quegli impianti per cercare almeno di ritardarne lo sviluppo. “Così, oltretutto, se le cose dovessero prendere una brutta piega, si potrà darne tutta la colpa a Israele”.
Rincara Alex Fishman: “L’amministrazione americana sta usando Israele per spaventare qualcuno – scrive (YnetNews, 2.07.08) – Chi esattamente? Gli europei? Gli iraniani? Le Nazioni Unite? In fondo non fa molta differenza. Ciò che importa è creare un’atmosfera di crisi incombente, con possibili fatali conseguenze per il mondo intero”. La forza strategica e i timori di Israele tornano utili per tirare la corda fino al limite di rottura. Le trattative più o meno riservate con Teheran proseguono, e in questo contesto, continua Fishman, “quando torna utile agitare la minaccia della furia militare, cosa c’è di più comodo di Israele? Il messaggio agli iraniani è chiaro: lasciate perdere le ambizioni nucleari e avrete un sacco di benefici, ma non dimenticatevi che stiamo tenendo a freno quei pazzi furiosi degli israeliani e che non potremo trattenerli ancora per molto”.
La leadership iraniana, ragiona Kuperwasser, sa bene che l’occidente è troppo sensibile al dolore e al denaro, e che non si imbarcherà in un’operazione che potrebbe costare molto caro, non foss’altro in termini di prezzo del petrolio. Per questo, ogni volta che viene ventilata l’opzione militare, il comandante delle Guardie Rivoluzionarie minaccia sfracelli globali: sono realmente convinti che le probabilità di un raid siano molto basse. Solo Israele fa eccezione. Per gli iraniani, convinti dalla loro stessa propaganda, Israele è un paese irresponsabile, dotato di armi atomiche, che non rispetta il diritto internazionale e che non esita ad attaccare reattori nucleari (in Iraq, Siria…). “Così – conclude Fishman – i caccia-bombardieri israeliani sono diventati la spada di Damocle sospesa sulla testa di Ahmadinejad”. Una minaccia che torna utile sbandierare anche a Mosca e a Pechino: se non ci aiutate a risolvere il problema iraniano non potremo trattenere ancora a lungo gli israeliani, e allora saranno guai seri per tutti.
Questo sarebbe il motivo per cui autorevoli fonti americane hanno fatto circolare la notizia delle esercitazioni aeree israeliane sul Mar Egeo, e anche dettagli che dovevano restare segreti sull’incursione aerea israeliana del 6 settembre 2007 nel nord della Siria. Lo stesso motivo per cui dal Pentagono sarebbe stata fatta trapelare la valutazione secondo cui Israele non potrà che colpire nella finestra temporale fra l’elezione del nuovo presidente Usa (4 novembre 2008) e la sua effettiva entrata in carica (20 gennaio 2009).
È solo un’ipotesi di spiegazione, anche se malauguratamente plausibile. Torna alla mente l’intervista che rilasciò, il 9 marzo scorso, Sami al-Faraj, analista kuwaitiano già consigliere governativo, oggi a capo del Kuwait Center for Strategy Studies. Ad una domanda del quotidiano Al-Siyassah circa le conseguenze di un eventuale raid israeliano sui reattori nucleari iraniani, al-Faraj rispose che la cosa non sarebbe poi così grave. “Onestamente – disse – otterrebbero un risultato di grande valore strategico per i paesi del Golfo, bloccando la volontà dell’Iran di conquistare l’egemonia in tutta la regione”. E aggiunse: “Se tale volontà fosse stroncata sul nascere per mano israeliana, per noi sarebbe meno imbarazzante che se avvenisse per mano americana”. E ricordando le pesanti ingerenze di Teheran in Iraq, in Libano, nei territori palestinesi, e la sua continua istigazione al conflitto fra musulmani sunniti e sciiti, Al-Faraj concludeva: “Fin dove arriverebbe l’Iran se diventasse una potenza nucleare? Dobbiamo dire pane al pane, e ammettere che vedere sepolte sul nascere le sue ambizioni nucleari sarebbe nell’interesse degli stati del Golfo e del Medio Oriente”.
Gran brutta storia, ci sia permesso affermarlo da europei e da occidentali. Vogliamo credere che il cinismo del mondo non possa spingersi al punto di costringere Israele a fare – come si suol dire – il lavoro sporco per tutti, per poi gettagli addosso la colpa e la condanna. “Entro un anno arriveremo al punto di non ritorno e Israele sarà solo di fronte al nemico”, ha ribadito ai primi di luglio l’ex capo del Mossad, Shabtai Shavit. Non sarebbe la prima volta: potrà amareggiarci, ma non dovrebbe più stupirci.

Nella foto in alto: Il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad in visita all’impianto nucleare di Natanz