Quando paesi arabi e Occidente accetteranno una ridivisione del Medio Oriente?

Cento anni fa gli Accordi Sykes-Picot disegnavano la carta del Medio Oriente come l’abbiamo conosciuta finora

Di Ariel Ben Solomon

Martin Kramer, intervistato in questo articolo

Martin Kramer, intervistato in questo articolo

A causa della conflittualità regionale e di stati arabi sempre più indeboliti e a pezzi, potrebbe essere solo questione di tempo prima che le potenze mondiali e gli stessi leader arabi del Medio Oriente si adeguino alla realtà e accettino una nuova suddivisione della regione.

Forse il prossimo futuro vedrà affermarsi una sorta di accordo “Sykes-Picot Due”, sebbene su scala minore. O più semplicemente i confini disegnati de facto continueranno per il momento ad essere accettati, ufficiosamente.

Come si ricorderà, furono gli Accordi Sykes-Picot raggiunti durante la prima guerra mondiale quelli che originariamente tracciarono le linee di spartizione dell’Impero Ottomano. Inglesi e francesi suddivisero la regione in base ai loro interessi, tenendo ben poco in considerazione i gruppi etnico-linguistico-religiosi presenti sul terreno.

Ora sono i gruppi di potere locali che stanno modellando la moderna mappa del Medio Oriente. Società spaccate lungo linee settarie con una forte cultura tribale tradizionale e soggetti non statali come i gruppi islamisti, le forze curde e varie milizie di altro tipo, stanno mettendo alla prova la persistenza dell’ordine allora stabilito in Medio Oriente.

In Siria, ad esempio, il governo controlla solo un sesto del suo territorio originale ed è destinato a perderne ancora di più con l’espandersi delle operazioni dello “Stato Islamico” (ISIS) nella Siria occidentale, stando a un rapporto dall’istituto di ricerca IHS pubblicato una decina di giorni fa. “Le ultime immagini e analisi dell’IHS Conflict Monitor – afferma l’istituto – mostrano che tra gennaio e agosto 2015 il governo siriano ha perso il 18% del suo territorio”.

Quanto tempo ci vorrà prima che l’Occidente e il mondo arabo decidano di adattarsi e frazionare ufficialmente l’area in mini-stati? Può darsi che ci voglia un bel po’ di tempo, giacché i governanti arabi sono restii a cambiare un assetto che fa i loro interessi. Mentre sono irremovibili nel chiedere la creazione di uno stato palestinese in terra d’Israele, una delle poche aree sicure in mezzo al ciclone che investe la regione, i capi arabi non sono disposti a creare alcun altro stato che nasca dalla suddivisione dei loro paesi. Probabilmente anche l’Occidente non intendere rimescolare ulteriormente la regione con la creazione di altri stati, con l’unica notevole eccezione del caso dei palestinesi, forse nel timore di creare ancora più instabilità.

Gli Accordi Sykes-Picot del 1916 per la spartizione delle rispettive “zone d’influenza” fra Inghilterra, Francia, Russia e Italia dopo il crollo dell’Impero Ottomano (cliccare per ingrandire)

Gli Accordi Sykes-Picot del 1916 per la spartizione delle rispettive “zone d’influenza” fra Inghilterra, Francia, Russia e Italia dopo il crollo dell’Impero Ottomano (cliccare per ingrandire)

“E’ improbabile che paesi arabi e potenze esterne riconoscano come permanente qualunque spartizione de facto – dice Martin Kramer, esperto di Medio Oriente e presidente del Shalem College di Gerusalemme – E’ molto più verosimile un’accettazione provvisoria di varie zone di controllo, nel quadro di accordi di cessate il fuoco a seguito di cosiddetti ‘processi di pace’ che mantengano la promessa teorica di sfociare da ultimo nella riunificazione dei paesi spaccati. Il modello sarebbe quello del processo di Taif che pose fine alla guerra civile libanese [1975- 1990]. L’unica fazione lasciata fuori da questo sistema sarebbe l’ISIS, che non accetta confini e non dà alcun peso al riconoscimento da parte di nessun altro”. Lo Stato Islamico, conclude Kramer, dovrà essere contenuto o schiacciato poiché non può essere integrato in alcun processo di stabilizzazione.

Siria, Iraq, Yemen e Libia sono in preda a guerre civili che stanno ridisegnando la mappa di chi ha l’effettiva autorità nei loro territori. I curdi in Iraq e Siria, gruppi ribelli in Siria e gli Houthi nello Yemen controllano già intere porzioni degli stati in cui sono presenti. Nel Sinai egiziano, gruppi affiliati all’ISIS fanno parte di una costellazione di gruppi jihadisti che il governo del Cairo non è riuscito finora ad eliminare. Armi e combattenti affluiscono attraverso il confine con la Libia e nella striscia di Gaza, nonostante gli sforzi dell’esercito egiziano di chiudere la zona con la costruzione di una zona cuscinetto e la distruzione dei tunnel.

Per quanto riguarda la Siria, vi sono segnali di un’iniziativa diplomatica guidata da Iran e Russia volta a elaborare una qualche soluzione politica in cooperazione con gli stati del Golfo e i ribelli sunniti. Si può immaginare un accordo che porti a una sorta di suddivisione del paese lungo le linee esistenti sul terreno. Ma una soluzione del genere darebbe vita probabilmente a un cessate il fuoco soltanto temporaneo, e la guerra scoppierebbe di nuovo non appena dovesse modificarsi l’equilibrio di potere.

“Tutti hanno bisogno di una soluzione politica – dice un diplomatico occidentale che segue l’evolversi del conflitto – Tutti sono esausti. Ma qualunque composizione politica verrà preceduta da un turbine di attività militari”.

(Da: Jerusalem Post, 24.8.15)

 

Si veda anche:

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