Quando si deve scegliere da che parte stare

Discernere la minaccia dell’islamismo estremista e difendere il diritto di Israele sono i parametri su cui verremo giudicati dalla storia

Editoriale del Jerusalem Post

"Per la pace mondiale, Israele deve essere distrutto", dice il cartello

“Per la pace mondiale Israele deve essere distrutto”, dice il cartello (Londra, 21.8.2011)

Epoche diverse delle storia presentano diverse sfide morali. La schiavitù è stata una delle grandi questioni del XIX secolo. Gli abolizionisti, sia religiosi che laici, erano dalla parte giusta della storia, mentre coloro che continuarono a giustificare quella pratica moralmente ripugnante erano dalla parte sbagliata.

Fascismo, comunismo e imperialismo sono stati i mali del XX secolo, da cui l’umanità è scampata a malapena. Del senno di poi sono piene le fosse, ma all’epoca pochissimi critici ebbero gli strumenti e la sensibilità morale necessari per identificare in tempo reale tutti e tre questi mali come pessimi e immorali. Ernest Hemingway, Bernard Shaw, H. G. Wells e molti altri cn loro sbagliarono almeno su uno dei tre. George Orwell, Arthur Koestler e il primo ministro ebreo francese Leon Blum furono alcuni dei pochi intellettuali e politici che videro giusto su tutti e tre.

Anche il XXI secolo ha le sue sfide morali. Una di queste è l’islamismo estremista. Riconoscere i pericoli che comportano le varie espressioni dell’ideologia islamista reazionaria e distruttiva è un prerequisito essenziale per comprendere pienamente una delle più grandi minacce alla civiltà occidentale.

Un’altra cartina di tornasole della rettitudine morale nel XXI secolo è la posizione su Israele. Coloro che vedono favorevolmente il progetto sionista e sono generalmente favorevoli allo stato ebraico si trovano dalla parte giusta della storia. Coloro che sono ipercritici verso Israele, a favore di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni per costringere Israele a cedere alle richieste di palestinesi e altre nazioni arabe, o che si concentrano esclusivamente sui “crimini” di Israele ignorando i comportamenti e la retorica violenta dei gruppi terroristici palestinesi come Hamas, non sono all’altezza del test di moralità della nostra epoca.

Spesso le due cose vanno assieme. Ad esempio, gli attivisti che prendono parte a varie “flottiglie della libertà” per rompere il blocco navale sulla striscia di Gaza controllata da Hamas (e mai che si veda una “flottiglia di aiuti” diretta in Siria o in Libia) non si limitano a puntare il dito della condanna unicamente contro Israele, opportunamente ignorando il fatto che il blocco egiziano su Gaza è molto più severo di quello israeliano. Essi altresì appoggiano pubblicamente Hamas, un’organizzazione terroristica antisemita che include nella sua piattaforma politica i Protocolli dei Savi di Sion e che reprime duramente i palestinesi che osano opporsi al suo dominio.

Tenendo presente tutto questo è stato confortante vedere questa settimana, all’indomani dell’accordo sulle armi nucleari raggiunto tra le sei maggiori potenze e l’Iran, esponenti politici di un certo numero di paesi esprimere pubblicamente il loro sostegno allo stato ebraico.

Il primo ministro italiano Matteo Renzi lo scorso 22 luglio alla Knesset

Il primo ministro italiano Matteo Renzi lo scorso 22 luglio alla Knesset

La stessa settimana in cui gli imprenditori tedeschi si precipitavano a Teheran per approfittare delle occasioni che si aprono in un paese che presto sarà affrancato dalle sanzioni economiche, il Canada del primo ministro Stephen Harper era occupato a finalizzazione un accordo commerciale con Israele. “Israele è un mercato prioritario per il Canada e presenta grandi potenzialità per le aziende canadesi in una varietà di settori – sottolineava Harper – Un accordo di libero scambio ampliato e modernizzato condurrà a un rapporto bilaterale rafforzato e ad un aumento dei posti di lavoro e delle opportunità sia per i canadesi che per gli israeliani”.

Nel frattempo, il primo ministro italiano Matteo Renzi teneva alla Knesset un discorso di energico sostegno a Israele in cui affermava con forza il diritto del popolo ebraico a uno stato sovrano, esortava i palestinesi a riconoscere questo diritto e attaccava i sostenitori del boicottaggio.

Intanto nel Senato degli Stati Uniti si avviava un vivace dibattito sui pro e contro dell’accordo sul nucleare iraniano. A differenza di altri paesi in tutto il mondo dove (ad eccezione del Canada) l’accordo viene accettato a occhi chiusi, negli Stati Uniti i dettagli dell’accordo e le loro implicazioni per la stabilità in Medio Oriente e per la sicurezza degli Stati Uniti e dell’Occidente vengono attentamente esaminati e discussi. Oltre alla forte opposizione dei repubblicani, una quindicina di senatori democratici stanno prendendo in considerazione un eventuale voto contro l’accordo. Come i repubblicani, questi democratici evidentemente non accettano la secca alternativa postulata dal presidente Barack Obama tra accettare l’accordo così com’è e una guerra con la Repubblica Islamica.

Discernere la minaccia costituita dagli islamisti estremisti e difendere il diritto di Israele ad esistere in pace e sicurezza sono due delle grandi sfide morali del XXI secolo, come lo furono la schiavitù nel XIX secolo e fascismo, comunismo e imperialismo nel XX secolo. In un’epoca in cui tanti intellettuali e capi di stato non riescono a scegliere la parte giusta, è confortante vedere che alcuni lo sanno fare. Giacché è su questi parametri che verremo giudicati dalla storia.

(Da: Jerusalem Post, 23.7.15)

 

Un iraniano, due palestinesi e un algerino che hanno partecipato con i loro passaporti alla campagna web “Io sto con Israele” nell’estate 2014 (per scorrere la galleria di immagini, cliccare sulla prima foto e proseguire col tasto “freccia a destra”):