Quei 769 profughi ebrei che perirono in fondo al mare di Turchia

Spunti di riflessione di due giornali israeliani, fra storia e attualità

image_2861Nell’inverno di sessantotto anni fa, in piena seconda guerra mondiale (quando le porte della Terra d’Israele sotto mandato britannico erano sbarrate dal divieto di immigrazione imposto dagli inglesi su pressioni degli arabi), 769 profughi ebrei tentarono di mettersi in salvo dall’inferno nazista e finirono per arrivare in Turchia. I turchi li trattarono con totale intolleranza, con ottusità e con spaventosa mancanza di compassione. E dopo averli detenuti per dieci settimane senza farli scendere a terra, li ricacciarono nel Mar Nero sulla loro precaria imbarcazione, col motore praticamente già fuori uso. Quella nave si chiamava Struma, e poche ore dopo colò a picco provocando la morte di tutti i profughi ebrei (meno uno), compresi più di cento bambini, in quello che viene ricordato come uno dei peggiori disastri negli annali della storia dell’immigrazione ebraica in Terra d’Israele prima della fondazione dello Stato.
(Da: Yediot Aharonot, 9.6.10)

Di fronte alla calorosa cooperazione tra i leader turchi, iraniani e siriani alla recente conferenza sulla sicurezza asiatica a Istanbul, c’è da augurarsi che Washington incominci a capire che non c’è nessuno con cui parlare nei governi di Ankara, Tehran e Damasco. Può darsi che si sia creata una situazione diplomatica internazionale tale da costringere Israele a istituire una commissione d’inchiesta, ma non bisogna farsi illusioni: una commissione che analizzasse la questione con correttezza non placherebbe comunque Erdogan, Ahmadinejad e Ismail Haniyeh. Non c’è nulla che preoccupi di più questi personaggi che il successo della giustizia e il primato della logica.
(Da: Yisrael Hayom, 9.6.10)

Nella foto in alto: il monumento ad Ashdod in ricordo della tragedia della Struma