Quel contributo arabo alla Shoà

Un considerevole numero di ebrei non furono salvati a causa della posizione assunta dagli arabi

di Shlomo Avineri

image_2797

Militari inglesi si apprestano ad arrestare e internare ebrei immigrati clandestinamente in Terra d’Israele/Palestina durante gli anni del Libro Bianco ’39

Sempre più spesso si sente ripetere l’argomento dei palestinesi secondo cui vi sarebbe un’ingiustizia di fondo nel fatto che essi sembrano costretti a pagare il prezzo per i crimini commessi in Europa durante la Shoà.
Naturalmente è vero che i colpevoli d’aver perpetrato l’Olocausto sono la Germania nazista e i suoi alleati, non i palestinesi. Ma ogni argomento che lega la creazione dello Stato di Israele esclusivamente alla Shoà è viziato dal fatto di ignorare che il moderno sionismo precede di vari decenni l’annientamento degli ebrei nella seconda guerra mondiale, anche se chiaramente la Shoà ha rafforzato la rivendicazione di sovranità da parte ebraica.
Ma, oltre a questo, l’argomento arabo non è del tutto corretto nemmeno in se stesso nel momento in cui attribuisce tutte le responsabilità all’Europa. Quando, nel 1936, scoppiò la rivolta araba contro il governo britannico sulla Palestina Mandataria, il suo scopo era quello di modificare la posizione britannica, che aveva appoggiato l’immigrazione ebraica in Palestina sin dai tempi della Dichiarazione Balfour (poi inclusa nel testo del Mandato conferito alla Gran Bretagna dalla Società delle Nazioni). La rivolta mirava anche a colpire la comunità ebraica per dissuadere gli ebrei che intendevano immigrare.
Gli inglesi, secondo la secolare tradizione coloniale, repressero brutalmente la rivolta, coadiuvati dalla comunità ebraica locale e aiutati dal governo mandatario britannico. Ma nell’inverno 1938-39 gli inglesi mutarono politica, dopo che il governo del primo ministro Neville Chamberlain aveva capito che il suo tentativo di accondiscendere Hitler era fallito. La Gran Bretagna iniziò a prepararsi per l’ormai inevitabile guerra contro i nazisti e, in questo quadro, cambiò anche la sua politica in Medio Oriente. Londra reintrodusse la leva obbligatoria, avviò una produzione massiccia di aerei e carri armati, sviluppò il radar. Alla luce della necessità di garantire il collegamento cruciale dell’Impero con l’India attraverso il Canale di Suez, la Gran Bretagna temette che una protratta e violenta repressione della rivolta araba in Palestina avrebbe spinto tutti gli arabi della regione più vicino di quanto già non fossero alla Germania nazista e all’Italia fascista. Di conseguenza prese la decisione di avvicinarsi agli arabi allontanandosi dal sionismo. Come spiegò ai dirigenti sionisti il segretario alla colonie Malcolm MacDonald, il cambiamento non scaturiva da una convinzione britannica che le rivendicazioni arabe fossero giustificate, quanto da una pura scelta di realpolitik: c’erano più arabi che ebrei, e gli ebrei in ogni caso avrebbero appoggiato la Gran Bretagna contro i nazisti mentre gli arabi avevano l’opzione di schierarsi con la Germania.
Il crudele paradosso sta nel fatto che questo appeasement verso gli arabi prese avvio proprio quando la Gran Bretagna stava abbandonando la sua politica di appeasement verso Hitler e si stava preparando alla guerra contro la Germania.
Questo fu il motivo per cui venne pubblicato il Libro Bianco del 1939, che limitava drasticamente il diritto degli ebrei ad acquistare terre nel Mandato sulla Palestina e poneva un tetto di 75.000 unità all’immigrazione ebraica. Il messaggio agli arabi era chiaro:gli ebrei resteranno una minoranza in Palestina/Terra d’Israele.
Tale politica non ha completamente conseguito il suo obiettivo: il mufti di Gerusalemme Haj Amin al-Husseini imboccò comunque la strada per Berlino; in Iraq scoppiò una ribellione anti-britannica e filo-nazista, guidata da Rashid Ali. Ma per quanto riguarda gli ebrei, gli inglesi continuarono coerentemente ad applicare i principi del Libro Bianco per tutta la durata della guerra. Le porte della Palestina/Terra d’Israele restarono sbarrate all’immigrazione legale ebraica, la marina britannica combatté con determinazione l’immigrazione clandestina e le navi che cercavano di portare in salvo gli ebrei dall’occupazione nazista (come la Struma) vennero rispedite ai porti d’origine; alcuni dei loro passeggeri perirono in mare, altri nelle camere a gas.
La colpa della Shoà ricade sulla Germania nazista e sui suoi alleati. Ma un non calcolato numero di ebrei, forse nell’ordine di centinaia di migliaia – compresi i miei nonni, originari della cittadina polacca di Makow Podhalanski – non raggiunsero la Palestina Mandataria e non furono salvati a causa della posizione assunta dagli arabi, i quali riuscirono a far chiudere la porte del Paese durante gli anni più tetri della storia del popolo ebraico.
Chiunque persegua la riconciliazione fra noi e i palestinesi deve insistere che entrambe le parti siano sensibili alle sofferenze dell’altra, e questo vale per i palestinesi come per noi.

(Da: Ha’aretz, 11.4.10)