Quel (piccolo) fiore nel deserto

I tumulti in Medio Oriente suscitano interrogativi sull’ossessione del mondo per il minuscolo Israele.

Da un articolo di Hagai Segal

image_3074Con il mondo così in subbuglio, non si può sfuggire alla necessità di dare un’occhiata all’atlante. Questo è il momento di rinfrescare le nostre conoscenze e di procurarsi informazioni aggiornate circa la regione mediorientale. Se si vuole capire appieno la situazione in Libia, bisogna innanzitutto sapere che la distanza che corre fra Tripoli e Bengasi non è quella che c’è fra Gerusalemme e Tel Aviv, e nemmeno quella fra Haifa e BeerSheva. La distanza fra le due città libiche è circa il doppio dell’intera lunghezza di Israele, dal che si capisce che la sfida di imporre l’ordine, laggiù, risulta particolarmente ardua.
La Libia è un paese enorme. Se non risulterà divisa fra sostenitori ed oppositori di Gheddafi, continuerà ad occupare una superficie di un milione e 760mila chilometri quadrati (l’Italia ne occupa 300mila): vale a dire che la Libia ha una superficie 63 volte più grande di quella della Terra d’Israele (comprese le regioni di Giudea e Samaria o Cisgiordania, il Golan e Gerusalemme est).
Una rapida ricerca su internet permette di scoprire che in questo enorme territorio libico vivono 6,5 milioni di persone, cioè decisamente meno della popolazione che vive sulla Terra d’Israele (più di 7 milioni e mezzo nello stato d’Israele; più di 10 milioni contando anche i Territori). Tale scoperta dovrebbe ispirare alcune considerazioni filosofiche in qualunque persona che persegue la giustizia: come può essere che l’attenzione di tutto il mondo sia tanto focalizzata su questa nostra terra, minuscola e sovraffollata, mentre una manciata di libici si sono presi una fetta così grande delle terre emerse? Com’è che noi israeliani veniamo dipinti dai mass-media internazionali come avidi di territorio, mentre nessuno pare avere alcuno scrupolo anticolonialista nei confronti del colonnello Gheddafi?
A proposito di confini, quelli della Libia sono per la maggior parte linee perfettamente rettilinee: cosa che suscita il sospetto che siano stati tracciati sulla carta geografica in modo del tutto arbitrario. I generosi periti che delinearono tali confini nel secolo scorso evidentemente non perseguivano nessun tipo di giustizia storica: ciò a cui miravano era solo convenienza geometrica e, naturalmente, il petrolio.
Quei periti furono molto generosi anche coi paesi vicini. L’Egitto occupa circa un milione di chilometri quadrati (35 volte le dimensioni della Terra d’Israele), l’Algeria due milioni e 400mila chilometri quadrati (esattamente dieci volte di più della Gran Bretagna). Noi, dal canto nostro, abbiamo a disposizione meno di 28.000 chilometri quadrati fra il mar Mediterraneo e il fiume Giordano. A quanto pare la “Grande Israele” è un territorio davvero minuto. In Medio Oriente, solo il Libano e alcuni emirati del Golfo riescono a essere più piccoli di Israele.
Se ogni stato arabo potesse vantare una sua unicità culturale (strettamente legata al suo specifico territorio e ai suoi confini), potremmo comprendere la necessità di territori così estesi: in fondo, si sa, una popolazione ha bisogno di spazio per realizzare appieno la propria cultura… Tuttavia, come in questi giorni si può vedere tutte le sere in televisione, le nazioni arabe sono incredibilmente simili fra loro. I dimostranti nel Bahrain intonano lo slogan “O Manama, noi ti libereremo con il nostro spirito e il nostro sangue”, mentre i dimostranti in Libia intonano lo slogan “O Bengasi, noi ti libereremo con il nostro spirito e il nostro sangue”. Persino i gesti tirannici dei governanti sono molto simili, per non dire di una certa affinità delle masse per il linciaggio.
Qui in Israele abbiamo uno stile totalmente diverso, e una cultura nazionale che è chiaramente distinta. Eppure, fra tutti popoli, il mondo pare ansioso di ammassare e comprimere proprio il nostro, nella minuscola area a ovest di Qalqiliya. In realtà il mondo sta iniziando a capire che il piccolo Israele è il suo unico alleato affidabile, nel cuore di questa regione disastrata; ma continua ancora a maltrattarci per via di un’antica consuetudine storica.
Evidentemente, dire addio a Gheddafi è più difficile di quanto non sembri.

(Da: YnetNews, 25.2.11)

Nella foto in alto: Hagai Segal, autore di questo articolo