Quella bandiera impresentabile

Quando uno sgarbo, marginale ma irritante, denuncia un problema molto più profondo

Editoriale del Jerusalem Post

31 luglio 2013 – Delegazione palestinese ospite alla Knesset del Comitato parlamentare israeliano per la soluzione del conflitto arabo-israeliano

31 luglio 2013 – Delegazione palestinese ospite alla Knesset, a Gerusalemme

Lo scorso 31 luglio, quando i membri del Comitato parlamentare “per la soluzione del conflitto arabo-israeliano” guidato dal laburista Hilik Bar, ospitarono una delegazione di politici dell’Autorità Palestinese, per la prima volta venne esposta alla Knesset una bandiera palestinese a fianco di quella d’Israele. Presenziarono all’inedito evento trentatré parlamentari appartenenti a diversi partiti tali da rappresentare la maggioranza del parlamento israeliano. C’erano parlamentari laburisti, del Meretz, di Hadash e Balad. Ma c’erano anche parlamentari e ministri di un partito della coalizione di governo come Yesh Atid e dei partiti ultra-ortodossi Shas ed Ebraismo Unito della Torah.

In quell’occasione il capo della delegazione palestinese, Muhammad Madani, membro del Comitato Centrale di Fatah, invitò i parlamentari israeliani a Ramallah promettendo che durante la visita sarebbero sventolate sia la bandiera israeliana che quella palestinese.

Questa settimana, Madani ha mantenuto il suo invito. In parte. Lunedì scorso, infatti, nove parlamentari israeliani laburisti e David Tsur di Hatnua si sono recati a Ramallah per incontrare il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) nel complesso presidenziale della Mukata. Hanno presenziato all’evento diversi esponenti palestinesi, tra cui lo stesso Madani e il segretario del Comitato esecutivo dell’Olp, Yasser Abed Rabbo. Era prevista anche la presenza di parlamentari del partito Shas, ma la morte del rabbino Ovadia Yosef li trattenuti a Gerusalemme.

7 ottobre 2013 – Delegazione parlamentare israeliana ospite al palazzo presidenziale dell’Autorità Palestinese, a Ramallah

7 ottobre 2013 – Delegazione parlamentare israeliana ospite al palazzo presidenziale dell’Autorità Palestinese, a Ramallah

Ma un’altra assenza si notava vistosamente: quella della bandiera israeliana. C’erano due bandiere palestinesi nella sala, un grande ritratto di Yasser Arafat e un ampio murale con l’immagine del Monte del Tempio e la moschea della Cupola della Roccia in bella evidenza. Ma nonostante la promessa di Madani, non vi era nessuna bandiera israeliana. A quanto pare, Abu Mazen non voleva che gli venissero scattate delle foto con la bandiera d’Israele sullo sfondo, che poi sarebbero finite su tutti i giornali palestinesi.

Forse non si dovrebbe dare troppa importanza all’assenza della bandiera. Probabilmente il vessillo dello stato ebraico non è facilmente reperibile dalle parti di Ramallah o nelle altre città palestinesi, benché si possa immaginare che Hilik Bar sarebbe stato più che lieto di portarne uno con sé.

E tuttavia, il rifiuto di Abu Mazen di ricambiare il rispettoso gesto d’Israele tocca una questione molto più grave, che è stata al centro del discorso che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha tenuto domenica scorsa all’Università Bar-Ilan: e cioè che il rifiuto palestinese di riconoscere “lo stato nazionale del popolo ebraico” costituisce il principale ostacolo alla pace.

Tutta l’iconografia nazionalista palestinese non prevede compromessi, ma la cancellazione di Israele dalla mappa geografica

Tutta l’iconografia nazionalista palestinese non prevede compromessi, ma propone in modo martellante la cancellazione di Israele dalla mappa geografica

Netanyahu non si riferiva a una dichiarazione meramente formale da parte dei palestinesi. Si riferiva piuttosto alla continua istigazione all’odio e alla violenza contro Israele che pervade istituzioni e mass-media ufficiali dell’Autorità Palestinese, compresa la sistematica glorificazione di terroristi che hanno ucciso civili israeliani, spesso con modalità raccapriccianti; si riferiva al fatto che molte località all’interno della Linea Verde come Acco, Giaffa e Haifa vengono sempre menzionate come appartenenti alla “Palestina”; si riferiva alla posizione ufficiale palestinese che rifiuta di riconoscere qualunque legame storico, religioso e culturale del popolo ebraico con la Terra di Israele e in particolare con Gerusalemme e il Monte del Tempio; si riferiva al continuo alimentare in centinaia di migliaia di “profughi” palestinesi (in realtà, discendenti di profughi) l’illusione di potersi un giorno stabilire all’interno della Linea Verde.

Purtroppo è ancora diffusissima e radicata la convinzione che in questa regione gli ebrei (paradossalmente anche quelli giunti in Israele dai paesi arabo-musulmani) siano dei “colonialisti europei” che non hanno alcun diritto né motivo di creare in Terra d’ Israele l’unico stato ebraico sovrano, come se si trattasse degli inglesi in India o dei belgi in Congo.

Finché i palestinesi continueranno a vedere i sionisti come un movimento di “colonialisti bianchi”, vi saranno ben poche possibilità di giungere a una soluzione a due Stati in cui entrambe le parti riconoscano la legittimità e il diritto dell’altra a vivere, qui, in pace e sicurezza.

L’omissione della bandiera israeliana, questa settimana nella Mukata a Ramallah, è solo un sintomo di un problema molto, molto più profondo.

(Da: Jerusalem Post, 8.10.13)