Quella coazione a ripetere gli errori all’origine della Nakba

Se guardassero con obiettività al 1948, i palestinesi vedrebbero che stanno ripetendo gli stessi errori.

Editoriale del Jerusalem Post

image_3134Secondo palestinesi e arabi israeliani, la creazione dello stato d’Israele è stata una “nakba”, ovvero una catastrofe. Venerdì in tutte le città arabe d’Israele hanno avuto inizio tre giornate di commemorazioni della Nakba con marce, raduni e comizi.
Sebbene queste cerimonie abbiano luogo ogni anno, questa volta la cosa è diversa per un aspetto significativo e positivo. L’assurda pratica per cui ad organizzazioni e municipalità era permesso usare fondi statali per finanziare gli eventi della Nakba è stata interrotta. La legge approvata dalla Knesset nel marzo scorso, nota come “legge della Nakba”, dà facoltà allo stato di sanzionare coloro che finanziano queste cerimonie con denaro pubblico. La legge non impedirà, né intendeva farlo, agli arabi israeliani o a chiunque altro di commemorare come meglio crede la Giornata dell’Indipendenza d’Israele, purché in modo pacifico. La legge ha invece posto fine alla follia per cui Israele finanziava attività volte a scalzare le fondamenta stesse del sionismo, presentandolo falsamente come un movimento imperialista che durante la guerra d’indipendenza si sarebbe dedicato alla pulizia etnica e all’espulsione intenzionale e totale di tutta la popolazione araba fuori dei confini dello stato.
Comunque, benché rientri nel diritto di palestinesi e arabi israeliani commemorare la Nakba accusando Israele di crimini che non ha mai commesso e gettando sul movimento sionista tutte le colpe del loro fallimento, il fatto che continuino a farlo costituisce, per loro, un comportamento autolesionista e un grosso ostacolo sulla strada per la pace.
Se i palestinesi guardassero con chiarezza e obiettività a quello che fu il loro atteggiamento all’epoca della fondazione dello stato d’Israele, capirebbero che oggi stanno ripetendo molti degli stessi errori che commisero allora. Il “jihadismo” – ovvero l’odio verso l’infedele e il desiderio di annientarlo – fece da sfondo in grande misura all’aggressione palestinese contro il sionismo dagli anni ’20 agli anni ’40. Il leader del movimento nazionale palestinese in quegli anni, Haj Amin al-Husseini, era un chierico furiosamente antisemita, strettamente legato ai nazisti. Analogamente, oggi, molti palestinesi hanno scelto di abbracciare la forma più estremista di leadership islamista. Nelle elezioni del 2006 in Cisgiordania e striscia di Gaza, Hamas sbaragliò l’apparentemente laico Fatah. E l’accordo di unità nazionale siglato il 7 maggio scorso al Cairo, che gode di ampio sostegno fra i palestinesi, ha riportato Hamas – un’organizzazione terrorista islamista rabbiosamente antisemita, all’origine di decine di stragi suicide e di migliaia di lanci di razzi e obici contro la popolazione civile israeliana – nel cuore della dirigenza palestinese in tutta la sua gloriosa intransigente reazionaria.
Fu proprio questo genere di estremismo religioso e intransigente che esasperò nel 1948 la condizione dei palestinesi. Tanto per fare un esempio, nelle prime settimane della guerra d’indipendenza (scatenata dall’aggressione araba contro la nascita d’Israele sancita dall’Onu), il sindaco di Giaffa, Yousef Heikal, tentò di arrivare a un accordo di non-belligeranza con la vicina Tel Aviv ebraica per consentire che il raccolto e l’esportazione ì degli agrumi. Ma Husseini pose il veto e lanciò la “jihad contro gli ebrei”. Risultato: molti degli arabi di Giaffa persero le loro case durante la guerra che ne seguì.
Un altro errore palestinese ripetuto nel secolo scorso è stato quello di rifiutare la soluzione a due stati. I palestinesi hanno costantemente rifiutato una serie di successive offerte di compromesso: nel 1937 la spartizione prevista dalla Commissione Peel con uno stato ebraico sul 17% soltanto del territorio ad ovest del Giordano; nel 1947 il piano di spartizione dell’Onu con il 45% della terra agli arabi; nel 2000 il piano di spartizione del primo ministro israeliano Ehud Barak e del presidente Usa Bill Clinton con il 20% del territorio agli arabi. Ed ogni intransigente rifiuto è stato regolarmente accompagnato da violenze e terrorismo.
Nella guerra d’indipendenza del 1948, dopo aver rifiutato il piano di spartizione dell’Onu che avrebbe dato loro uno stato, i palestinesi lanciarono una sanguinosa offensiva per impedire la nascita di uno stato ebraico (su qualunque porzione della terra). Se avessero vinto la guerra, il risultato sarebbe stato un massacro di massa degli ebrei a soli pochi anni dallo sterminio di sei milioni di ebrei nella Shoà.
L’atteggiamento violento, ostile e gretto della popolazione araba di Palestina ha ripetutamente tentato di distruggere qualunque speranza del popolo ebraico di ripristinare la propria indipendenza nella terra patria, dopo quasi duemila anni di esilio e dopo aver patito il peggior genocidio mai conosciuto dalla storia del genere umano.
Per fortuna non ci sono riusciti.
Oggi, l’unico stato ebraico al mondo è circondato da ventun paesi arabi e ha dimostrato la propria disponibilità a contribuire alla nascita del ventiduesimo stato arabo, per i palestinesi. Eppure, in gran parte a causa della loro visione distorta della storia – e la Nakba non è che un esempio – i palestinesi continuano a concentrarsi interamente sulla loro condizione di vittime e sulle loro sofferenze preferendo ignorare le responsabilità personali per la loro difficile situazione. Uno degli ostacoli psicologici cruciali, oggi, sulla strada per la pace è la caparbia insistenza di palestinesi e arabi israeliani a ignorare il ruolo da loro stessi svolto nella genesi del problema dei profughi e nel mancato ottenimento dell’autogoverno politico palestinese.
Invece di dedicare così tante energie ad enfatizzare il loro ruolo di vittime, palestinesi e arabi israeliani farebbero bene ad apprendere dai loro errori. Allo stato attuale, invece, sembrano decisi a ripeterli.

(Da: Jerusalem Post, 12.5.11)

Nell’immagine in alto: Tutta la pubblicistica palestinese identifica la “Nakba” (catastrofe) con la nascita dello stato di Israele, e la cancellazione di Israele come l’unica “giusta soluzione”