Quella nomina vaticana che umilia Israele

Il nuovo nunzio apostolico è collegato all’insabbiamento dello scandalo preti pedofili in Irlanda.

Di Menachem Gantz

image_3523La decisione di papa Benedetto XVI di nominare l’arcivescovo Giuseppe Lazzarotto come nuovo ambasciatore pontificio in Terra Santa costituisce per Israele una vergogna e un’umiliazione. Il nuovo nunzio apostolico (così viene chiamato l’ambasciatore del Vaticano), rappresentante del papa in Australia dal 2007, succede al nunzio uscente mons. Antonio Franco, in servizio a Gerusalemme negli ultimi sei anni.
Antonio Franco, che cinque anni fa minacciò di boicottare la cerimonia della Giornata della Memoria della Shoà, sarà ricordato a Roma come l’inviato che ha condotto la battaglia della Chiesa Cattolica per riscattare il nome di papa Pio XII al Museo di Yad Vashem: una campagna salutata come un successo, in Vaticano, quando il Memoriale del Museo della Shoà di Gerusalemme ha accettato di modificare una didascalia in cui si indicava che Pio XII non fece abbastanza per fermare il genocidio di sei milioni di ebrei ad opera della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale [si veda la Documentazione qui sotto].
Lazzarotto è invece collegato allo scandalo dei preti pedofili che ha scosso la Chiesa Cattolica irlandese nel 2005. E’ stato infatti accusato d’aver fatto tutto ciò che era in suo potere per proteggerli. Si ritiene che Lazzarotto, all’epoca ambasciatore della Santa Sede in Irlanda, abbia capeggiato la politica di papa Benedetto XVI di non cooperazione con il giudice Yvonne Murphy, capo della Commissione incaricata dal governo irlandese di indagare sullo scandalo degli abusi sessuali nell’arcidiocesi cattolica di Dublino. Il rapporto della Commissione concludeva che “almeno fino alla metà degli anni ’90, la preoccupazione dell’Arcidiocesi di Dublino nel trattate i casi di abusi sessuali su minori è stata quella di mantenere la segretezza, evitare lo scandalo, proteggere la reputazione della Chiesa e preservare il suo patrimonio. Ogni altra considerazione, compreso il benessere dei bambini e il rendere giustizia alle vittime, era subordinata a queste priorità”. La Commissione criticava l’arcivescovo Lazzarotto per il suo rifiuto di rendere note informazioni dai rapporti circa gli abusi sessuali del clero su minori. Nel 2008, un anno prima che la Commissione d’inchiesta inoltrasse le sue conclusioni incriminanti alla Corte Supreme irlandese, il Vaticano decideva di nominare Lazzarotto suo rappresentante in Australia. Con un attacco senza precedenti alla Santa Sede, l’allora primo ministro irlandese Enda Kenny affermava: “Lo stupro e la tortura di bambini sono stati minimizzati o ‘gestiti’ pur di sostenere il primato dell’istituzione, il suo potere, il suo rango e la sua reputazione”. Enda Kenny terminava denunciando “elitarismo, separatezza, disfunzione e narcisismo in Vaticano”. Lo scorso novembre Dublino ha deciso di chiudere la sua ambasciata presso al Santa Sede.
Ed ora il Vaticano decide di nominare Lazzarotto suo ambasciatore in Israele. Gli ebrei, devono essersi detti al Segretariato di Stato pontificio, hanno già problemi per conto loro: i preti pedofili non sono all’ordine del giorno, nel tumultuoso Medio Oriente, così possiamo dimostrare il nostro apprezzamento per la lealtà di Lazzarotto durante lo scandalo in Irlanda conferendogli la prestigiosa carica di rappresentante del Vaticano a Gerusalemme.
La nomina suona come uno schiaffo in faccia a Israele e sottolinea i rapporti tesi fra Santa Sede e stato ebraico, basati soprattutto su gesti simbolici. Per questo Israele dovrebbe chiedere chiarimenti a Vaticano e Irlanda circa la condotta dell’arcivescovo durante lo scandalo dei preti pedofili, prima che abbia inizio il suo mandato come ambasciatore in Israele. Facendolo, Israele manderebbe al clero in tutto il mondo un chiaro messaggio: Gerusalemme considera gli abusi sessuali su minori un reato grave e coloro che ratificano tali reati non possono trovare rifugio in Israele, nemmeno come rappresentanti del papa.

(Da. YnetNews, 22.8.12)

Nella foto in alto: Menachem Gantz, autore di questo articolo

DOCUMENTAZIONE

Testo della precedente didascalia di Yad Vashem
«PIO XII E L’OLOCAUSTO. La reazione di Pio XII all’uccisione degli ebrei durante l’Olocausto è una questione controversa. Nel 1933, quando era Segretario di Stato vaticano, si attivò per ottenere un Concordato con il regime tedesco per preservare i diritti della Chiesa in Germania, anche se ciò significò riconoscere il regime razzista nazista. Quando fu eletto Papa nel 1939, accantonò una lettera contro il razzismo e l’antisemitismo preparata dal suo predecessore. Anche quando notizie sull’uccisione degli ebrei raggiunsero il Vaticano, il Papa non protestò né verbalmente né per iscritto. Nel dicembre 1942, si astenne dal firmare la dichiarazione degli Alleati che condannava lo sterminio degli ebrei. Quando ebrei furono deportati da Roma ad Auschwitz, il Papa non intervenne. Il Papa mantenne una posizione neutrale per tutta la guerra, con l’eccezione degli appelli ai governanti di Ungheria e Slovacchia verso la fine. Il suo silenzio e la mancanza di linee guida costrinsero il clero d’Europa a decidere per proprio conto come reagire».

Testo della didascalia di Yad Vashem modificata
«IL VATICANO E L’OLOCAUSTO. Il Vaticano sotto la guida di Pio XI, Achille Ratti, e rappresentato dal Segretario di stato Eugenio Pacelli, firmò un concordato con la Germania nazista al fine di preservare i diritti della Chiesa cattolica in Germania. La reazione di Pio XII, Eugenio Pacelli, all’assassinio degli ebrei durante l’Olocausto è oggetto di controversia tra gli studiosi. Dall’inizio della Seconda guerra mondiale il Vaticano mantenne una politica di neutralità. Il Pontefice si astenne dal firmare la dichiarazione degli Alleati del 17 dicembre 1942 che condannava lo sterminio degli ebrei. Comunque, nel suo radiomessaggio natalizio del 24 dicembre 1942 egli fece riferimento alle «centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talvolta solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate a morte o a un progressivo deperimento». Gli ebrei non erano esplicitamente menzionati. Quando gli ebrei furono deportati da Roma ad Auschwitz il Pontefice non protestò pubblicamente. La Santa Sede si appellò separatamente ai governanti di Slovacchia e Ungheria in favore degli ebrei. I critici del Papa sostengono che la sua decisione di astenersi dal condannare l’assassinio degli ebrei da parte della Germania nazista costituisca una mancanza morale: la mancanza di una chiara guida consentì a molti di collaborare con la Germania nazista rassicurati dall’opinione che ciò non era in contraddizione con gli insegnamenti morali della Chiesa. Ciò lasciò anche l’iniziativa del salvataggio degli ebrei a singoli preti e laici. I suoi difensori ritengono che questa neutralità evitò più dure misure contro il Vaticano e contro le istituzioni della Chiesa in tutta l’Europa, consentendo così che avesse luogo un considerevole numero di attività segrete di salvataggio a differenti livelli della Chiesa. Inoltre, essi indicano casi in cui il Pontefice offrì incoraggiamento ad attività in cui gli ebrei furono salvati. Finché tutto il materiale rilevante non sarà disponibile agli studiosi, questo tema resterà aperto a ulteriori indagini.»

Dal nostro archivio: