Quella scelta fra male e peggio

Non esistono decisioni facili quando si tratta di un intervento militare. Ma come si potrà chiedere a Israele di affidare la propria sopravvivenza a garanzie o forze internazionali?

Alcuni commenti sulla stampa israeliana

image_3169Scrive l’editoriale di Ha’aretz: “Le molti voci deluse emerse dai circoli israeliani più bellicosi, a seguito della decisione espressa sabato sera dal presidente Usa Barack Obama di sospendere per il momento l’operazione militare contro la Siria, potrebbero dare la falsa impressione che la maggior parte, se non addirittura tutti gli israeliani siano ansiosi di vedere un attacco contro Damasco». L’editoriale invita i leader israeliani a «smetterla di dare consigli non richiesti a Obama e lasciarlo lavorare». E conclude: «In fin dei conti, è essenziale che la decisione se attaccare la Siria venga presa dal Campidoglio a Washington, e non a Gerusalemme». (Da: Ha’aretz, 2.9.13)

Scrive Yaron London, su Yediot Aharonot: «Come agiranno gli Stati Uniti quando l’Iran si avvicinerà alla bomba atomica? È possibile fare affidamento sulle risolute dichiarazioni della Casa Bianca quando dice: l’Iran non avrà mai armi nucleari, punto? Quel punto alla fine dell’energica affermazione assomiglia in modo sospetto alla “linea rossa” che Obama aveva fissato per la Siria un anno fa. Ma ora è chiaro che quella linea non è la distanza più breve tra due punti: è flessibile e si piega. Nessuna promessa dalla Casa Bianca riuscirà più a dissipare i dubbi dei leader israeliani. D’altra parte, molti americani potrebbero dire: se è possibile convivere con un Pakistan nucleare e una Corea del Nord nucleare, allora si può convivere e prosperare anche con un Iran nucleare». (Da: Yediot Aharonot, 2.9.13)

Scrive Eyal Zisser, su Yisrael Hayom: «Il presidente Obama rifugge da qualsiasi connessione o collegamento con il passato che possa fissare la sua immagine pubblica come quella di uno che segue le orme di George Bush». L’editorialista si domanda: «Ma rimandare il momento della verità sulla base del discutibile concetto di ottenere il sostegno del Congresso non suscita forse ben più tetri ricordi di quell’epoca dell’appeasement del secolo scorso i cui inesorabili effetti furono il terribile disastro che sappiamo?». (Da: Yisrael Hayom, 2.9.13)

“Come agiranno gli Stati Uniti quando l’Iran si avvicinerà alla bomba atomica?”

Scrive Amos Gilboa, su Ma’ariv: «Se contro la Siria, per un’azione militare limitata, il presidente degli Stati Uniti ondeggia, esita e quasi implora, con la sua tipica retorica poetica, d’essere tirato fuori dall’angolo, cosa farà contro l’Iran?». L’editorialista ricorda ai lettori che, dopo aver detto che il regime di Assad aveva usato armi chimiche, il segretario generale della Nato ha dichiarato: “Non è prerogativa della Nato rispondere”. E aggiunge: «Per quanto riguarda l’Onu, così come per l’Unione Europea, non c’è neanche da parlarne. Pertanto, chiunque proponga che nei futuri accordi di pace con i palestinesi Israele riponga la propria fiducia in “garanzie internazionali”, o che una forza Nato venga schierata nei territori, il tutto teoricamente per garantire la sicurezza di Israele (al posto delle Forze di Difesa israeliane), beh se lo può scordare!». L’Iran, la Siria e Hezbollah, continua l’editoriale, «annusano la debolezza come segugi e capiscono che, se ci sarà un’azione americana, sarà uno scappellotto leggero dopo il quale Assad potrà continuare imperterrito ad adoperare aerei, missili, carri armati e mannaie da macellaio». E conclude: «Chi indica delle linee rosse invalicabili deve essere certo, se vengono violate, di essere pronto e capace di reagire come ha minacciato di fare. Se questa disponibilità non esiste sin dall’inizio, allora è meglio non indicare nessuna linea rossa». (Da: Ma’ariv, 2.9.13)

Scrive l’editoriale del Jerusalem Post: «Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama si è preso ingiuste reprimende da molte voci dello schieramento moderato israeliano che vedono una correlazione tra l’oscillare dell’Occidente sulla Siria e le probabilità che, quando arriverà il momento critico, l’appello ad affrontare militarmente l’Iran per impedire che diventi una potenza nucleare finisca col subire la stessa sorte. Ma il paragone non è valido e la reazione dell’Occidente sul fronte siriano non deve essere vista come un test di quello che possiamo aspettarci da Stati Uniti e paesi occidentali quando l’Iran sarà sul punto di dotarsi di un’arma nucleare. Un Iran con la bomba atomica costituirebbe un pericoloso e destabilizzante mutamento dei rapporti di forza in tutta la regione e, fra l’altro, potrebbe scatenare una corsa agli armamenti nucleari. Il possesso della “bomba” accrescerebbe radicalmente l’influenza politica della Repubblica Islamica, e l’influenza dei gruppi terroristici al suo servizio, rendendola quasi impermeabile alle pressioni internazionali. L’Occidente ha un evidente e diretto interesse a prevenire che ciò accada. Al contrario, la guerra civile in corso in Siria è innanzitutto una questione umanitaria. È chiaro che il mondo civile vorrebbe veder cessare lo spargimento di sangue e ripristinare la stabilità politica, ma l’Occidente non ha concreti interessi geopolitici nella fine del conflitto siriano». Per questo, prosegue l’editoriale, «la decisione di Obama di chiedere l’approvazione del Congresso anziché un segno di debole indecisione senza spina dorsale potrebbe rivelarsi invece la mossa più saggia, prima di un’azione così potenzialmente esplosiva». E conclude: «E’ chiaro che tutti, in Israele, vorremmo vedere la rapida fine del bagno di sangue in Siria (da cui oltretutto sono arrivate decine di siriani feriti, curati gratuitamente negli ospedali israeliani). Ma non ci sono scelte facili quando si tratta di un intervento militare. E qualsiasi forza che potrebbe verosimilmente rimpiazzare Assad non porterebbe maggiore stabilità nella regione; anzi, potrebbe portare ancora più conflitti e turbolenze». (Da: Jerusalem Post, 2.9.13)