Quella volta che fu Rabin a rivolgersi al Congresso in polemica con la Casa Bianca

Ford e Kissinger premevano per un ulteriore ritiro israeliano senza valide contropartite

Di Herb Keinon

Gli accordi di disimpegno fra Israele ed Egitto del 1975 (cliccare per ingrandire)

L’ultima volta che Washington ha minacciato una “rivalutazione” della propria politica verso Israele fu nel marzo 1975. Erano trascorsi meno di due anni dalla guerra dello Yom Kippur e l’allora segretario di stato Henry Kissinger – dopo aver mediato con successo un accordo per il disimpegno delle forze tra Israele ed Egitto nel Sinai e tra Israele e Siria sulle alture del Golan – aveva intrapreso un altro round della “diplomazia della spola” con l’obiettivo di mediare un secondo accordo di disimpegno nel Sinai (in pratica, un altro ritiro israeliano senza che l’Egitto si impegnasse a fare la pace con Israele).

Ma non andò bene come il primo. L’allora presidente Usa Gerald Ford accusò dell’insucesso Israele e il suo primo ministro Yitzhak Rabin. Ci fu un incontro particolarmente tempestoso a Gerusalemme tra Kissinger e Rabin, dopo di che Ford scrisse a Rabin una lettera furibonda. “Desidero esprimere la mia profonda delusione per l’atteggiamento di Israele nel corso dei negoziati – scriveva il presidente americano – e ho dato istruzioni per una rivalutazione della politica degli Stati Uniti nella regione, compresi i nostri rapporti con Israele, allo scopo di garantire i complessivi interessi americani”. Ford faceva sul serio. Gli Stati Uniti congelarono i trasferimenti di armi a Israele, sospesero i colloqui per la vendita di ulteriori armi e cancellarono le visite ad alto livello di rappresentanti israeliani.

Allora, come oggi, il Senato era nelle mani di un partito e la presidenza dell’altro. Solo che, al contrario di oggi, i democratici controllavano il Senato mentre i repubblicani avevano la Casa Bianca. Rabin, che in precedenza è stato ambasciatore negli Stati Uniti, si rivolse direttamente al Congresso. Il 25 maggio, 76 senatori (51 democratici e 25 repubblicani) firmarono una lettera in cui esprimevano disappunto per la “rivalutazione” politica di Ford e per il fatto che l’amministrazione addossasse a Israele la responsabilità del fallimento di quella tornata di shuttle diplomacy. “Sin dal 1967 – diceva la lettera – la posizione della politica americana è che il conflitto arabo-israeliano deve essere risolto sulla base di confini sicuri e riconosciuti che siano difendibili, e su negoziati diretti tra le nazioni coinvolte. Noi riteniamo che questo approccio continui a offrire la migliore speranza per una pace giusta e duratura. Nelle prossime settimane – proseguivano i senatori, in tono insolitamente secco – il Congresso si aspetta di ricevere le vostre richieste di aiuti all’estero per l’anno fiscale 1976. Confidiamo che le vostre raccomandazioni risponderanno alle urgenti esigenze militari ed economiche di Israele. Vi esortiamo a mettere in chiaro, come facciamo noi, che gli Stati Uniti, agendo nel loro interesse nazionale, sono saldamente a fianco di Israele nella ricerca della pace nei futuri negoziati, e che questa premessa sta alla base della rivalutazione in corso della politica statunitense in il Medio Oriente”. Si ritiene che quella lettera sia stata uno dei principali fattori che portarono poco dopo il presidente Ford ad abbandonare l’annunciata “rivalutazione”. Il secondo accordo di disimpegno venne poi firmato, a settembre, senza minacce di “rivalutare” la politica americana.

(Da: Jerusalem Post, 25.3.15)