Quelle liaisons dangereuses fra Iran e Hamas

Chi aveva interesse a rivelare l’incontro di sei mesi fa tra i sunniti di Hamas e gli sciiti iraniani?

Di Reuven Berko

Reuven Berko, autore di questo articolo

Reuven Berko, autore di questo articolo

Il quotidiano arabo edito a Londra Al-Hayat ha riferito martedì che, poco dopo la conclusione dell’operazione “Margine protettivo” delle Forze di Difesa israeliane a Gaza alla fine di agosto, il capo di Hamas Khaled Mashal si è incontrato in Turchia con Qasem Soleimani, comandante della Forza Quds della Guardia Rivoluzionaria iraniana. Secondo il reportage, dopo quell’incontro una delegazione di Hamas si è recata in Iran per discutere la ripresa degli aiuti finanziari e militari di Teheran. Il flusso di aiuti iraniani era stato precedentemente interrotto a causa del sostegno dato da Hamas ai ribelli islamici che si battono in Siria per rovesciare il regime di Assad, un stretto alleato dell’Iran.

E’ interessante il momento i cui salta fuori questa rivelazione, giacché nelle attuali circostanze non vi è alcuna possibilità che l’Egitto permetta l’ingresso a Gaza attraverso il confine con il Sinai anche solo di una forcina per capelli. L’Egitto subisce in questo periodo un’ondata di attacchi terroristici, nel Sinai e in Libia, sostenuti da Hamas e perpetrati da gruppi islamisti di analoga dottrina, scaturiti dalla originaria ideologia dei Fratelli Musulmani, il movimento che in Egitto è stato messo fuori legge. Per anni questi gruppi terroristici avevano collaborato nel traffico di armi, destinate ad essere utilizzate contro Israele, che partivano da Iran, Libia e Sudan e, attraverso l’Egitto, raggiungevano il loro “utilizzatore finale”: Hamas nella striscia di Gaza. Ora quelle armi vengono usate per combattere l’Egitto nella penisola del Sinai e sul continente. Dall’ascesa al potere del presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sissi, questi gruppi terroristici islamisti hanno agito con tutte le loro forze contro il Cairo.

Il capo di Hamas a Gaza Ismail Haniyeh ospite della Guida Suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, a Teheran nel febbraio 2012

Il capo di Hamas a Gaza Ismail Haniyeh ospite della Guida Suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, a Teheran nel febbraio 2012

Organizzazioni, come lo “Stato Islamico “(ISIS), uccidono chiunque sia diverso da loro. La raccapricciante decapitazione di 21 cristiani copti egiziani in Libia è stata effettuata perché erano “crociati” e perché i copti hanno sostenuto al-Sissi nelle ultime elezioni. L’assalto islamista supportato da Hamas contro al-Sissi – sia nel cuore della patria egiziana, che ad ovest (in Libia) e ad est (nel Sinai) – gli ha fatto definitivamente saltare i nervi.

Il Medio Oriente è attualmente diviso in stati sunniti che sostengono il terrorismo islamista, come la Turchia e il Qatar, e stati “moderati” che si difendono da questa aggressione, come la Giordania, l’Egitto e alcuni paesi del Golfo. Questa situazione di conflitto interno nel mondo sunnita trova espressione anche nelle atrocità dello “Stato Islamico” (ISIS) contro i musulmani sunniti “apostati” (takfir) in Iraq, Siria, Sinai, Libia e Giordania.

Gli sciiti, dal canto loro, sotto il comando iraniano proiettano attualmente l’immagine di una forza monolitica che si estende su cinque capitali: Teheran, Baghdad, Damasco, Beirut e Sanaa. L’Iran ha messo gli occhi anche sul Bahrain, che è riuscito a tenere grazie ai preavvertimenti dall’Arabia Saudita.

La situazione regionale è ulteriormente complicata dal fatto che, contemporaneamente al conflitto interno nel mondo sunnita, gli scontri tra i due principali rami dell’islam – sciiti e sunniti – si stanno cristallizzando in una collisione apocalittica.

“Israele ha appena bombardato missili balistici e rampe lanciamissili che la Repubblica Islamica d’Iran stava spostando in Siria. Gli iraniani hanno protestato affermando che i missili erano destinati solo ad “uso interno”.

Questi focolai di violenza stanno assumendo un andamento simile al sanguinoso conflitto in Siria e Libano, dove il capo degli sciiti Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha esortato gli abitanti a combattere al suo fianco e per conto di Assad contro i movimenti islamisti sunniti, ed ha accusato Israele e Stati Uniti di sostenere lo “Stato Islamico” (ISIS). D’altra parte, le Brigate Abdullah Azzam di al-Qaeda (sunnita), che hanno già inflitto danni considerevoli a Hezbollah a Beirut, hanno accusato martedì Nasrallah di volersi impadronire del Libano e hanno esortato i soldati sunniti libanesi a disertare dall’esercito e unirsi ai ribelli.

Non basta. Gli stati arabi “moderati” devono tracciare anche una linea di difesa contro la crescente forza dell’Iran, che minaccia la loro stessa esistenza. In continuità con la loro storica ostilità verso gli arabi, gli iraniani (persiani) stanno cercando di realizzare le loro ambizioni imperialiste prendendo il controllo della regione. Questo mentre gli americani conducono dubbi affari segreti con gli iraniani affinché Teheran possa eliminare “per conto loro” l’ISIS (che è comunque nemico dell’Iran). In cambio, gli americani sono disposti a “svendere” l’accordo sul nucleare permettendo all’Iran di diventare di fatto una potenza atomica e di sviluppare massicciamente i suoi missili balistici intercontinentali e i suoi sistemi di spionaggio satellitare, naturalmente “per scopi pacifici”.

Dunque, chi poteva avere interesse, in questo frangente specifico, a far trapelare i dettagli dell’incontro di sei mesi fa tra i palestinesi sunniti di Hamas e gli sciiti iraniani? Il reportage sembra inteso a svelare la portata del “tradimento” di Hamas, soprattutto ora alla luce delle dimensioni esistenziali del violento scontro religioso tra sciiti e sunniti, e dell’esaurirsi della pazienza egiziana nei confronti di Hamas e dei suoi gruppi satelliti. Forse l’intento è quello di preparare il pubblico a una futura campagna egiziano-palestinese contro l’infida Hamas installata a Gaza e alleata con gli sciiti? O forse dietro al reportage c’è proprio Hamas, che cerca di guadagnare favori agli occhi del nuovo monarca iraniano della regione?

(Da: Israel HaYom, 18.2.15)