Quell’incrocio di sguardi al confine fra due realtà in conflitto

Riflessioni di una soldatessa israeliana impegnata nell’ingrato compito di difendere il suo paese

Di Shevi Zeff

Shevi-Zeff, autrice di questo articolo

Shevi-Zeff, autrice di questo articolo

Si è fermata di botto, impietrita. Ho visto la paura nei suoi occhi, quando i nostri sguardi si sono incrociati. Lentamente, cautamente, ha continuato sulla sua strada senza mai togliermi gli occhi di dosso, come se avesse la certezza che nell’attimo stesso in cui avesse distolto lo sguardo, l’avrei aggredita. A mia volta ho continuato a fissare malinconicamente quella bella ragazzina, offrendole un sorriso e un cenno di saluto con la mano. Ha alzato la sua mano in risposta al mio gesto, ma la paura nei suoi occhi non è scomparsa e ha affrettato il passo, appesantita dai sacchetti della spesa del negozio di alimentari, dirigendosi verso il suo villaggio, sulla collina. Mentre si allontanava, mi sono soffermata a riflettere su ciò che era appena accaduto e sul significato di questo fugace, piccolo incontro.

Ai miei occhi so esattamente chi sono e quale esercito rappresento. Siamo sulle pendici di queste aspre colline per difendere le strade in modo che nessun terrorista possa aprire il fuoco sulle auto israeliane di passaggio, come è avvenuto infinite volte in passato. Entriamo nei villaggi nel bel mezzo della notte alla ricerca di armi e munizioni rubate per prevenire un ennesimo attentato terroristico contro innocenti. Blocchiamo il traffico e controlliamo i documenti, e ogni volta che scopriamo un coltello nascosto nel rivestimento di una portiera sappiamo che abbiamo appena evitato che venisse spezzata la vita di qualcuno. Costruiamo una barriera difensiva e un muro per impedire infiltrazioni terroristiche e attentati suicidi. Siamo un esercito di difesa che deve tentarle tutte e fare tutto il possibile per combattere l’incessante minaccia di attacchi contro civili innocenti in Israele. Tutto questo è perfettamente chiaro ai miei occhi, perché sono cresciuta da questa parte: si fonda sulla mia esperienza e sulla formazione che ho avuto e sulle opinioni che mi sono formata in base sia alle mie esperienze di prima mano, sia all’idea che mi sono fatta del quadro più ampio che è la mia realtà e la mia esistenza.

(immagine d'archivio)

“… la soldatessa che le sta davanti, infilata nel giubbotto antiproiettile zeppo di munizioni e armata di mitra…” (immagine d’archivio)

Questa ragazzina palestinese ha occhi diversi dai miei. Lei non mi vede come io vedo me stessa, e il suo mondo è molto diverso da quello che conosco io. L’hanno cresciuta insegnandole che è stata derubata della sua casa. Guarda i soldati e vede degli aggressori. Magari ricorda di una volta, quando era piccola, che sono venuti a prendere uno zio che aveva ucciso un israeliano in quello che le è stato descritto come un coraggioso atto di rivolta. Ai suoi occhi, la soldatessa che le sta davanti, infilata nel giubbotto antiproiettile zeppo di munizioni e armata di mitra, è una predatrice: avrebbe potuto attaccarla in qualsiasi momento, perché lei e i soldati che sono con lei sono i cattivi. La paura della ragazzina si fonda sulla sua idea del mondo attorno a lei, le esperienze che ha vissuto, le informazioni che ha raccolto o che le sono state instillate dalle persone, dall’ambiente, dall’educazione che le è stata data.

Quando i suoi occhi hanno incontrato i miei, le nostre due realtà sono entrate in collisione. Ho rapidamente esaminato i suoi sacchetti per assicurarmi che non ci fossero armi e ho mentalmente valutato il livello di minaccia che poteva rappresentare (nessuno). Lei ha tenuto d’occhio il mio mitra M16 come se cercasse di capire in quale momento avrei aperto il fuoco: una cosa che nessun soldato farebbe senza un motivo. Le nostre realtà si sono scontrate, i nostri mondi si sono trovati faccia a faccia.

E sono stata sommersa dagli interrogativi. Come ci può essere una soluzione a questo conflitto quando le realtà sono così opposte? Come si può dire a qualcuno che le sua esperienza di vita si basa su fatti falsi, se quei fatti sono la sua realtà? Come puoi diventare un difensore ai suoi occhi che ti vedono come l’oppressore? Come puoi fidarti di lui se alcuni di loro nascondono pugnali nelle maniche, e il terrorismo è sempre pronto ad approfittare di ogni attimo in cui abbassi la guardia? Non ho le risposte. Ho solo altre domande accompagnate dall’idea confusa che una soluzione potrebbe essere raggiunta solo con una partecipazione universale, e allo stesso tempo che non sarà raggiunta perché quando mai sarà realisticamente raggiungibile una cooperazione universale?

(immagine d'archivio)

“…offrire un gesto di riconoscimento, contribuendo forse così ad abbattere le barriere che impediscono l’accettazione dell’altro…”(immagine d’archivio)

Con il cuore pesante mi sono ritrovata a sorridere a una ragazzina sulle pendici di una collina. Con un mesto sorriso negli occhi le ho offerto un gesto di saluto. Forse quel giorno mi ha visto come una persona. Forse si è placata la paura che ha di me, almeno per un momento.

In fin dei conti, tutti quanti siamo solo persone che incrociano il loro cammino su diversi percorsi di sé, con singole realtà definite dalle esperienze che compongono la nostra esistenza. Il minimo che possiamo fare è tenere gli occhi aperti, la mente sveglia, e quando i nostri occhi incrociano quelli di un altro offrire un gesto di riconoscimento, contribuendo forse così ad abbattere le barriere che impediscono l’accettazione dell’altro.

(Da: Times of Israel, 25.2.16)