Quell’iniziativa di pace ambigua e pericolosa

E' irrazionale scommettere sulla propria stessa esistenza, in un momento come questo, sulla base della vecchia “iniziativa” della Lega Araba

Di Uri Heitner

Uri Heitner, autore di questo articolo

Uri Heitner, autore di questo articolo

Con una nuova campagna politica, circa 170 ex alti ufficiali della Difesa chiedono ai cittadini israeliani di votare alle prossime elezioni per partiti che si impegnino ad adottare la cosiddetta “iniziativa di pace araba”.

Personalmente ho grande rispetto per questi ex ufficiali che hanno dedicato gran parte della loro vita a difendere la sicurezza di Israele. Ma la storia ha dimostrato che vantare questo curriculum non costituisce necessariamente garanzia di avvedutezza politica. L’establishment della difesa ha sbagliato diverse volte, nei confronti del paese, in particolare per quanto riguarda la capacità di capire i nostri nemici e la tendenza ad attenersi a preconcetti infondati.

Ad esempio, l’eccessiva fiducia nell’errato concetto dell’intelligence secondo cui Egitto e Siria non avrebbero mai osato attaccare Israele prima che si concretizzassero determinate condizioni, portò al tragico smacco che caratterizzò i primi giorni della guerra del Kippur del 1973. Analogamente, nei primi anni ’90 l’allora capo dell’intelligence militare Uri Sagi abbracciò il concetto che la pace con la Siria si sarebbe potuta raggiungere semplicemente cedendo a Damasco le alture del Golan. Molti esponenti politici e della sicurezza adottarono questo punto di vista. Si pensi per un momento in che situazione ci troveremmo se, Dio non voglia, Israele avesse messo in pratica quell’idea. Oggi avremmo i jihadisti dello “Stato Islamico” (ISIS) sulle rive del Lago di Tiberiade. Quindi, con tutto il rispetto per gli ex ufficiali della sicurezza, le loro parole devono essere prese con senso critico. Bisogna porsi delle domande prima di prender per buona qualsiasi cosa ci propongano.

Tel Avive e il mar Mediterraneo visti da un villaggio palestinese in Cisgiordania (clicca per ingrandire)

La cosiddetta “iniziativa di pace araba” esige un ritiro israeliano sulle linee del 4 giugno 1967, su tutti i fronti, senza eccezioni né modifiche: il che comporta un ritiro da tutto il Golan, dal tutta la Giudea e Samaria (Cisgiordania) e da tutta la parte est di Gerusalemme allora occupata dalla Giordania (dunque anche dalla Città Vecchia, con i luoghi santi ecc.). Chiunque può capire cosa implichi un tale ritiro: tutta l’area metropolitana di Tel Aviv si ritroverebbe direttamente sotto il fuoco di qualunque terrorista palestinese che decidesse di sparare da Giudea e Samaria, mentre il nord di Israele sarebbe facilmente alla portata dello “Stato Islamico” (ISIS).

Chi pensa che l’iniziativa di pace araba parli di due stati per due popoli (uno per il popolo arabo-palestinese, l’altro per il popolo ebraico) si sbaglia. Vi si parla, certo, di uno stato palestinese completamente “ripulito” di ogni presenza ebraica. Ma lo stato al suo fianco sarebbe uno stato ebraico? Nient’affatto, perché l’iniziativa esige il cosiddetto “diritto al ritorno”, che significherebbe l’invasione di Israele con milioni di arabi palestinesi. Gli israeliani che sostengono l’iniziativa sottolineano il fatto che essa parla di una soluzione “concordata” del problema dei profughi palestinesi, ma ignorano il resto della frase che dice che la soluzione deve essere conforme alla risoluzione 194 dell’Assemblea Generale dell’Onu. La 194 è la risoluzione utilizzata dalla parte araba palestinese per sostenere la rivendicazione del diritto al ritorno. Quindi, qualsiasi soluzione “concordata” sulla base di quella risoluzione riguarderebbe le caratteristiche e il ritmo di attuazione del “diritto al ritorno”, non il fatto in sé che tale presunto diritto debba essere riconosciuto a tutti i milioni di palestinesi che oggi vengono impropriamente definiti “profughi”.

Tutta la pubblicistica raffigura esplicitamente il “diritto al ritorno” (rappresentato dal simbolo della chiave) come la cancellazione di Israele dalla carta geografica

Ciò che rende allettante l’iniziativa araba agli occhi di alcuni è quello che sembra promettere: la pace con tutta la regione. In realtà, il fatto che i paesi arabi agiscano come blocco impedisce qualsiasi flessibilità di ogni singolo partner arabo in negoziati bilaterali (che è l’unica via con cui sinora Israele ha ottenuto degli accordi di pace con alcuni vicini arabi). L’iniziativa della Lega Araba è semplicemente un diktat basato su una posizione unitaria dei paesi arabi dalla quale non ci potrà essere nessuno spostamento, dunque nessun margine di trattativa.

L’iniziativa di pace araba venne proposta la prima volta nel 2002 e adottata di nuovo nel 2007. Da allora il Medio Oriente ha subito colossali cambiamenti, come il dilagare di una instabilità generale, il crollo di intere strutture statali, la disintegrazione di vecchi confini artificiali, l’ascesa della jihad globale. Non occorre avere un curriculum personale nel campo della difesa per capire quanto sia irrazionale scommettere sulla propria stessa esistenza, individuale e collettiva, in un momento come questo e sulla base di una “iniziativa di pace” datata, equivoca e pericolosa.

(Da: Israel HaYom, 11.2.15)

DOCUMENTAZIONE

Cosa significhi la risoluzione Onu 194 per i palestinesi venne messo in chiaro in un memorandum della squadra negoziale palestinese guidata da Yasser Abed Rabbo, presentato il 1 gennaio 2001 in risposta ai parametri del presidente Bill Clinton per un accordo israelo-palestinese. Vi si legge:
“It is important to recall that the Resolution 194, long regarded as the basis for a just settlement of the refugee problem, calls for the return of Palestinian refugees to ‘their homes’, wherever located. The essence of the right of return is choice: Palestinians should be given the option to choose where they wish to settle, including return to the homes from which they were driven”.
[traduz: “È importante ricordare che la risoluzione 194, da tempo considerata la base per una giusta composizione del problema dei profughi, prevede il ritorno dei profughi palestinesi alle loro case, ovunque situate. L’essenza del diritto al ritorno sta nella scelta: ai palestinesi deve essere data la possibilità di scegliere dove vogliono insediarsi, compreso il ritorno alle case da cui furono allontanati”].